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25 febbraio| 1701 Francesco Loredan

Dispaccio del 16 maggio| 1702|

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
ho impiegato il possibile affine rimanghino essequite le riveribili comminacioni di Vostra Serenità, resemi in ducali di 6 andante, et vietati li trasporti de proviggioni da bocca et da guerra, in qualsivoglia modo che potessero ridondare a pro de Prencipi contendenti, così impostimi nelle commissioni stesse, del che anche subito humilmente avanzai le noticie et responsive al reggimento di Capodistria, per esser poi dirrete sotto li riflessi di Vostra Serenità in obbedienza de miei indispensabili doveri. Questi popoli si sono sino adhora resi rassegnati per incontrare totalmente la suprema publica intencione, ma venendo pratticate inquietudini intollerabili dalla lanza d’alcune navi francese in questo porto approdate, resto al vivo eccitato ad humiliare alla somma grande sappienza di Vostra Serenità l’opperacioni loro tanto trabochevoli, che ridondano a detrimento rimarcabile a questa povera terra. La stessa non abbonda di tant’allimenti, quanti bastino al sovenimento di quest’habbitanti, onde da persone forrastiere viene sufragata et resa al bisogno favorita, m’al tempo presente è ridotta in pessimo grado, mentre li viene rapito il modo dalli francesi stessi d’essigiere tal benefficio et agiuto, oltre altri pregiudicii che potrebbero apportare per esser d’ogni parte apperta, et senza alcuna millitare proviggione. Il giorno d’heri è cappitato in questo porto il patron Marco dalla Torre da Caorle, con la sua barcha caricha di farine di ragione di Domenico Marascaldi, suddito della giurdisditione del nobil huomo signor Conte Geronimo Savorgnan d’Ariis del Friuli, a quali levarno, tutto che si siino prottestati veri veneti, non solo le farine medesime, m’ancora la barcha con quant’altro in essa s’attrovava, et si resero in tal forma pattroni, oltre le minacie fattegli in loro preggiudicio, m’ancora di questi popoli da quali doveva essere fatto il consumo. Parimenti sotto li 10 andante fermarono pur in questo porto altra barcha nominata Lattina, pattroneggiata d’Antonio Vani da Castello di cottesta Dominante, a cui doppo varie mollestie, et fermata la stessa a non partirsi sino a tanto si premunirà de vallevoli caucioni, di quella si pressente possino pratticare il lievo, havendo ripposte le velle et timone, tutto che il pattrone sii cappitato a cottesta volta per premunirsi dell’instrumento di compreda, et da essi ricercato et prommesso di pacientare la sua venuta. Con tali opperacioni levano il commercio a questi popoli, et si rendono tanto mollesti, coll’affidarsi siino tutti li bastimenti austriaci, che daranno mottivo quando non gli fosse sradicato tal perniciosa oppinione, non cappiteranno bastimenti d’alcuna sorte in questo porto, così che priveranno li popoli stessi de bisognosi allimenti con evidente assedio. Oltre di che fu impetrato alli Proveditori alla Sanità da certo francese cappitato con tartana pur francese, che gli permettessero avanzarsi alle navi precitate, gli negorono la dimanda in riguardo de publici commandi e rispetti zellanti verso la salute commune, ardii il giorno d’hoggi di profferire indecenze non solo contro il Fante destinato a tal serviggio, m’ancora contro li Proveditori medesimi, con sprezzo et intollerabile audacia infinita verso la Publica Maestà, né di ciò restò sodisfato si servii del mezo della persona di Bortolo Novó, pur francese habitante in questa terra sono anni 12 circa, asserito Console di quel Re, dal quale fatta la stessa richiesta alli sudditi Proveditori s’attrovavano nel publico palazzo a mezo parlamentare, ardii, doppo negata, d’inquietarli et ingiuriarli con rimarcabili improprietà, et replicati vittuperii, tutto che ripreso dalla mia debolezza. A tutto ciò non ho assunto alcun impegno, per non essercitare ciò che non fosse il contento a Vostra Serenità, onde con li maggiori sentimenti del mio rispetto gli ho rappresentato acciò mi resti prescrita la norma del mai errante supremo assenso, verso il quale con la più rassegnata humilliacione darò i più veri contrassegni del mio zelo, con che riverentemente m’inchino.
Rovigno, li 16 maggio 1702.

Francesco Loredan, Podestà.

ASVe, Senato, Dispacci, Istria, b. 83.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.