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1 aprile| 1616 Filippo Paruta

Dispaccio del 7| marzo| 1618|

N. (senza numero)

Serenissimo prencipe,
hoggi, che è li 7 del corrente, ho ricevuto lettere dall’illustrissimo et eccellentissimo signor proveditor generale da Mar, nelle quali mi avisa di esser accertato che li spagnoli habbino pensiero a questo castello et sito, onde io li ho risposto che saria bene che sua eccellenza mandasse a far un poco di trinciera sopra il scoglio, dalla parte di levante, come già scrissi alla Serenità vostra sotto li 8 aprile passato, colla quale trinciera, munita di qualche pezzo di artellaria, li veniria a ostare che essi spagnoli non potrebbero entrare nel porto. Così che, impediti da quella parte e da quell’altra dal castello di non poter entrar dentro, si rissolveriano d’andar altrove. Che certo Serenissimo prencipe, se fosse fabricato da nemici sopra quel scoglio, ne sentiria gran pericolo la fortezza di Cattaro, e veniriano anca ad aprirsi la strada nell’Albania. Io personalmente farò quanto potrò in servitio della Serenità vostra et per quanto li richiede all’obligo mio di ben servirla; ma mi trovo in luogo che ha bisogno di piazze nelle quali vi potria andare qualche spesetta per il manco di 500 ducati, e bisogneria haverle già fatte o pure farle con prestezza, non aspettando tempo. Ho scritto di ciò a Vostra serenità et l’ho supplicata anco a mandarmi 25 soldati appresso questi che mi attrovo, per poter tanto maggiormente servire la Serenità vostra. Vostra serenità, che ha la pratica di questo luoco, e di questo sito può con la sua prudenza considerarne il bisogno, et con questa rissolutione provedere a quelli inconvenienti che potrebbero nascere, e dar ordine intorno a quanto che fa di bisogno. Se bene la Serenità vostra, per lettere scritte alli miei precessori sono li 19 decembre 1573, 12 marzo 1594 et 19 settembre 1596, si vede in questa cancelleria che li proveditori di Cattaro debbano solamente pagare, cassare et regolare questa militia, così da piedi, come da cavallo, li signori proveditori di Cattaro vogliono loro il comando, et la formatione de processi, et castigarli secondo li delitti, così che il Podestà per questa via non viene obedito, sebbene la Serenità vostra li ha mandati qui a questa custodia; onde per ciò, la mente di Vostra serenità ci vede chiara che essi debbano star all’obedienza del podestà e al giudicio di lui, così nel civile, come nel criminale. Ma hanno talmente allargato le fimbrie che vogliono loro essere i dominatori, e però supplico reverentemente la Serenità vostra che in così fatto bisogno mi sia data la libertà di poter io assolutamente comandarli, et che siano sottoposti al mio giudicio, non essendo conveniente che essi debbano correr a tuor ordini dalli procuratori che sono lontani da qui vinti [?] miglia per terra, et per strade asprissime di montagne, perché riverentemente la supplico che queste mie lettere non siano gittate da parte, come sono state le altre. Gratie etc.
Di Budua, li 7 marzo 1618.
Di Vostra serenità riverente servitore.

Filippo Parutta, podestà.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Dalmazia, b. 18
Trascrizione di Francesco Danieli.