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1614 Giovanni Francesco Dolfin

Dispaccio del 13 aprile| 1616|

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
rassettai il pressidio di questa fortezza con quelle due compagnie di fantaria che la Serenità Vostra già mesi di qua mandò, et la ridussi in ottimo stato di florida soldatessa, tutta italiana, che la custodivano in maniera tale che di avantaggio desiderar non si poteva; ma doppo passatto l’inverno, alcuni de’ migliori et più spiritosi soldati di dette compagnie, o per vedersi rinchiusi in così stretto luoco con la sola ordinaria paga, o perché sentono i motti d’Italia, aventurando le proprie vite senza alcuna tema della giustitia, hanno in diversi luochi scalate in tempo di notte le mure di questa fortezza che cingono il monte tra la città et il castello, calandosi giù con corde in quei sitti dove non possono dalle sentnelle delli posti esser veduti, et dove sono le mure più basse et più comode, et sine sono fuggiti, abbandonando la fotezza; del che sentendone io quel maggior spiacere che ben devoto Suo Rappresentante et zelante del publico interesse sentir deve, ne feci quelle più diligenti proviggioni, che stimai a proposito, perché non andasse seguendo così pessima introdutione di violar le mure; tuttavia, non ostante la viggilanza che si usava, alcuni temerarii, poco curando la publica dignità et non considerando l’offesa grave et delitto esecrando che comettono, si sonno fatti lecito già tre giorni di scalar in diversi luochi dette mure, et fuggirsene; duoi de’ quali furono dal mio Cavallier seguiti, et inflagranti, tre miglia discosti da Castelnovo, retenti et condotti in queste pregioni; i quali per esser rei confessi et convinti di così grave delitto, farò impiccar per la golla, acciò servino anco per essempio altrui. Et li altri si salvarono col beneffitio della notte nel territorio Raguseo, pigliando il camino verso Ragusi, là dove hanno per il più recapito detti soldati che di qua fuggono; del che ne ho scritto a quelli Rettori et Consiglieri, che non voglino (stante la buona amicitia et vicinanza che passa tra noi) dar ricetto a detti soldati, né ad altri che di questa fortezza, senza mia licenza, si partono, havendo anco mandato un caicchio ben armato a quella volta per veder de ritenerli se li trovassero; né di esse lettere ho havuto ancora risposta, né ancora è ritornato detto caicchio; et se per aventura li pigliassero, farò anco di loro quello stesso che farò di questi dua; ma essendo i luoghi per i quali sono fuggiti essi soldati di mure basse, et facile scalamento, vi sarebbe bisogno di alzarli, sì per rimediar all’uscita come per assicurar l’entrata che in quei siti commodamente far si potrebbe, essendo in certi angoli delli muri che dalle sentinelle non possono esser guardati, né mi è parso di por mano in detta opera se prima non ne raguaglio, come facio riverentemente, Vostra Serenità, et non mi viene dalla somma Sua providenza comandato ch’io detta reparatione far debbi, perché per quanto mi rifferiscono li periti vi andarà di spesa intorno trecento ducati. Però se la Serenità Vostra, sì come il bisogno ricerca, restarà servita di darmi ordine alcuno per l’effettuatione di detta opera, si compiacerà mandarmi insieme il denaro, perché in questa Camera non si attrova, né si scode denaro di sorte alcuna che non sia tutto impiegato et destinato a’ salariati et proviggionati; et quanto prima dalla somma Sua prudenza sarà provisto a questo urgentissimo bisogno, tanto fia meglio per tutti i rispetti; et io in questo mentre non mancarò di invigillare a tutte quelle cose che conoscerò esser di comodo, benefficio et sicurezza di questa Sua così importante fortezza. Gratie etc.
Di Cattaro, li xiii aprile 1616.

Giovanni Francesco Dolfin, Rettor et Proveditor.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Dalmazia, b. 15.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.