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9 settembre| 1616 Geronimo Donado

Dispaccio del 24 novembre| 1616|

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
Subito venuto dalla uscita della giurisditione di questa sua città, sicome riverentemente n’ho dato parti alla Serenità Vostra, ne sono venuti tutti questi salariati a lamentarsi da me, mostrandomi bolete de’ loro crediti di tre e quattro mesi, esclamando sino al cielo di morirsi dalla necessità con li loro figli, che non ostante che sino a quest’hora non m’habbia havuto pur un soldo dal mio salario, li ho sovvenuti al meglio che ho potuto mosso sì da compassione come dal rito della pietà christana del proprio denaro, adossandomi li loro crediti, acciò tali povere famiglie possino sostentarsi, et in particolare nobili poveri, medico, et altri con li salariati della fortezza, acciò dalla necessità non l’abbandonino a fatto e non si resti senza tali salariati tnato besognosi. Et havendomi fatto portare li conti sì dal suo Camerlengo, come dagl’altri doi di questa sua città, delli crediti della Camera, ho ritrovato quella senza un soldo, et intacato il Fontico di grossa summa ch’è lire dieci mila, cento e sesant’otto, n’è debitore Geronimo Fasaneo, che fu già Ambasciatore di questa Comunità alla Serenità Vostra, il quale con poco riguardo e della Divina et humana giustitia, fraudolentemente ha usurpato tal dinari sotto pretesto di spese fatte per detta comunità, oltre li suoi salarii ordinarii, non si vergognando di porre sopra li suoi conti partite di spesa di quattrocento e più lire alla volta, per semplice consulte con altre disorbitanti spese in pregiuditio e della Serenità Vostra, e del publico, e perché detto Fasaneo non può pretendere da questa camera altro ch’il mero salario conforme gl’ordini e decreti di Vostra Serenità, e dieci savi con li quindeci aggiunti, e ciò anco per gratia speciale, per quella volta tanto della sua ambasciaria. Ho per tanto terminato ch’intermine d’un mese prossimo venturo debbia reintegrare il publico di quanto ha usurpato, altrimenti si procedi sì contro li beni, come contro la vita, vista le parti delli intaccadori di casse. Non mancherò anco di far ch’ogn’altro debitore sodisfi detta Camera, con quella maggior brevità che sarà possibile. Ho anco voluto vedere li soldati della fortezza che sono al numero d’otto, quattro de’ quali hanno le loro legittime investiture, et gl’altri quattro non si sa come habbino havuto tal carico. Sappia dunque Vostra Serenità che di questi otto soldati tre ne sono botiglieri, doi gentilhuomini, un servitore del Clarissimo Camerlengo, et gl’altri vecchi indecrepiti, di quali niuno sta mai alla guardia di detta fortezza, ma fortezza ch’è di non poca consideratione, viene a restar priva d’ogni guardia, et massime nelle confiunture de presenti tempi. Per il che, Principe Serenissimo, m’ha parso esser mio degno debito di darLene riverentemente conto, sì come faccio con raccordarLe che sarebbe opera bonissima accrescere a detta fortezza il numero d’otto soldati almeno, che Dio ci guardi da fortune sarebbero bastevoli con li quattro bombardieri che s’attrova a difendere e la città e popoli con ogni poco d’agiuto, senza danno né spesa della Serenità Vostra, pagandosi detti soldati di questa Camera, et perché si ritrovano havere dodeci lire di paga solamente al mese, giudicarebbe esser meglio ad accresergli sino alla summa di sede(ci) lire, poiché in tal guisa con maggior amore e vigilanza verebbero a far le lor guardie, e quanto se li conviene. Non mancherò intanto di trovarle quel maggior e più opportuno rimedio che serà possibile sino a novo ordine della Serenità Vostra, alla quale, come suo obedientissimo servo che sono, mi rimetto al suo maturissimo e senza consiglio. Desidero anco dalla Serenità Vostra facultà di potermi ellegere doi altri officiali conforme li privilegi di questi popoli, havendone solamente quattro, poiché essendosi fatti delli homicidii, et assasinamenti et essecutioni gravi, ricercandosi non sono sufficienti né bastevoli sì per esser questa città disunita, com’anco per esser li rei delli presenti del loro come inanci et altri che per tal mancamento de’ ministri ne resta si può dir appesa la giustitia. Credo al sicuro che dell’Eccellentissimo signor Giusto Antonio Belegno, sarà stato dato parte alla Serenità Vostra di tute le cose bisognose et urgenti a questa sua fortezza, però mi sometto a quanto più parerà espediente alla Serenità Vostra. Gratie etc.
Di Lesina, 24 novembre 1616.

Gieronimo Donado, Conte et Proveditor.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Dalmazia, b. 15.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.