1570 Zuanne da Lezze
Relazione|
ZUANNE DA LEZZE
Provveditore generale in Dalmazia e Albania
10 febbraio 1571
MDLXX 1 adi X febraio
Relatione di me Zuanne da Lezze, cavalier et procurator, venuto di Proveditor general di Dalmatia
Giudicando io necessario che la Serenità vostra senza dilatione sia informata nel stato del qual si trova la sua provincia di Dalmatia, dal governo de la quale hora per gratia sua son ritornato, non potendo per una discesa che mi è venuta di catarro, che mi ha anco causato alteration di febre et impedimento di voce, far a bocca questo offitio ho voluto farlo con la presente mia scrittura et se ben io di ciò sento non picciol dispiacere, sapendo esser gran differenza da la voce viva a la scrittura morta et che molte cose le quali ho da dir haveano bisogno d’esser rappresentate con quella efficacia che può dar chi parla a le sue parole et non la può dar a la scritura chi scrive, non di meno trovandomi in questa necessità ho voluto preferir al comodo mio il benefitio de la Vostra serenità et mi resta in questo anco una consolatione, che durando la parola solamente quanto si pronuntia et restando la scritura eterna, essa scritura mi servirà per testimonio perpetuo de la verità di quelle cose che mi ho proposto di dirle.
Considerarò a la Serenità vostra brevemente il stato di queste due provincie, Dalmatia et Albania, le città et fortezze loro et quella di Zara specialmente. Che sola in ambedue queste provincie merita nome di fortezza; le forze che vi ha tenuto Vostra serenità et quelle che la bisogna che vi tenga; il numero et qualità de le forze del nemico vicino, con le quali può travagliarla, con darle insieme conto de le operationi mie, le quali (se non meritano laude, che questo io non cerco) so almeno che non hanno meritato mai niuna di quelle imputationii che da alcuni ingiustamente mi sono state date.
La provincia di Dalmatia principia da la città di Nona et va fin sopra Almissa, per longhezza di miglia 130, ha per confino da una parte il mare et da l’altra li sanzaccati di Cliuno, Bosna et Ducato, luoghi turcheschi. Ha quattro città, Zara, Sebenico, Traù et Spalato, essendo stata smantellata et abbandonata Nona. Duo castelli di consideratione Novegradi et Almissa, sotto la iurisdition de quale sono anco Starigrado et Visicchio et sette isole che son governate da Rettori, Cherso et Ossero, Veggia, Arbe, Pago, la Brazza, Liesina et Curzola, de le quali tutte città et isole la Sublimità vostra ne divenne patrona da l’anno 1409, che Arbe volontariamente se le diede, fin l’anno 1423 che se le sottopose Traù. Et perché Vostra serenità è stata più volte informata da diverse relationi de magnifici Sindici et Retori del sito et fertilità del paese, numero et qualità de suoi populi, per non attediarla nel medesimo impertinentemente tralasciarò di dirle molte cose et parlarò solamente di quelle che qui dicarò al presente convenienti al benefitio suo.
Zara, metropoli et principalissima città di tuta la Provincia, non solamente per la grandezza et fertilità de territorio ma per la qualità et importantia sua fu per deliberatione di questo eccellentissimo Senato l’anno 1567 principiata a fortificar, giusta il modello dato dall’illustrissimo signor Sforza. In che stato ben si ritrovi et come si possa difender et conservar venendo l’occasione intenderà la Serenità vostra brevemente.
Questa città, serenissimo principe, è fabricata sopra una lingua di terra chiamata lingua serpentina e vien bagnata da tre parti dal mare. Ha proprio forma di lingua percioche la sua fronte di terra ferma verso levante è di larghezza passa 180 incirca et l’altra parte di ponente verso il mare passa 160, la longhezza da un capo a l’altro passa 600 et tutto il circuito passa 1.800, cioè 1.200 la città et il forte passa 600. Hanno da farsi in essa secondo l’ordine dato dall’eccellenza del signor Sforza li beluardi et difese che al presente le dirò. Et prima da la parte del mare verso ponente il castello che essendo ne l’entrar del porto difende la bocca di esso, va riformato in un beluardo d’altezza di piedi 40, cioè 30 di muraglia et 10 di terreno con la sua casamatta involtata per potersi servir del fianco. Questo all’arrivo mio ritrovai fatto di muro in altezza di piedi 20 et procurai subito ridurlo in difesa per assicurar quella parte del porto et li è sta fatto un parapetto d’altezza di piedi sei et di grossezza a 25, spianata la piazza in maniera che al presente, nel stato che si trova, venendo la occasione si può adoprare. Caminando drieto al porto vanno tutti tre beluardi, nominati San Dimitri, Beccarie et Santa Marcella con le sue cortine da un capo a l’altro. Li tre beluardi sopradetti hanno da esser in altezza piedi 20 di muro et 10 di terreno. Trovai al primo nominato San Dimitri fondato solamente passa 20 hora e tutto coprito di fonda [...] et alzato di muro piedi 15, riempita la piazza sino a la muraglia vecchia all’altezza della muraglia nuova, si che si può servir di esso, il resto si va continuando per ridurlo a perfetione. Il secondo beluardo nominato Beccarie era fondato et alzato da per tutto piedi 12 di muraglia con passa tre di cortina per parte, hora se gli è fatto un parapetto di terreno alto piedi sei, riempita la piazza a livello de la muraglia dimodo che in un bisogno si potrà adoperar. Il terzo et ultimo beluardo di questa parte, nominato Santa Marcella, va riformato et allongata la sua fronte passa 25. Sopra questo è stato posto tanto terreno che in occasione si potrebbe rassettare et servir nel stato che è al presente. Le cortine de la città che vano fatte fra li tre beluardi sopradetti non sono state principiate, ma vi sono le muraglie vecchie che possono al presente servir et sono state giettate a terra alcune case che vi erano attaccate per far una strada di dietro via da poter di giorno et di notte caminar intorno di esse.
La fronte verso terra ferma, che è la parte più importante, ha per sua difesa il pontone, che è una machina alta piedi 45 di muro, terrapienata a la su detta altezza et va ancor levata di più piedi 15 di terreno per far il suo parapetto. Et perché questa è quella parte che per esser sola verso la terraferma e tenendo tutte l’altre circondate dal mare, gli nemici possono più facilmente travagliar, fu deliberato dall’illustrissimo signor Sforza che oltra la difesa del pontone si spianasse il borgo della città et si facesse un forte con 2 beluardi di altezza di piedi 20 di muro et 10 di terreno, per parapetto grosso piedi 40, il qual forte all’arivo mio ritrovai fatto di muraglia a la sudetta altezza con la sua fossa in parte cavata; al presente serenissimo principe è tutta finita di cavar sino al segno deputato, manca solamente la cunella, che è sta principiata, gli è sta spianata la sua piazza, fattoli tutti li parapetti quasi come devono stare et le sue cannoniere si che si può gagliardamente difendere, manca a farli una traversa che ha ordinato l’eccellenza del signor Sforza per coprir la mità di detto forte. Sarà necessario continuar la cortina di muro che va fatta verso il mare per conservar il terreno che vien da la pioggia guastato, de la qual ne ho fatto far passa 30 incirca. Resta anco a fondar passa 14 del dente di Santa Marcella che va in detto forte, il qual è luogo di consideratione et sono preparate tutte le cose necessarie per tal efetto. Il spalto fuori di detto forte è abbassato in honesto termine verso Marina et verso San Marco si va facendo il medesimo portando il terreno ne la città. Tutta questa fronte che è di larghezza passa 180 con due potentissime difese di duo beluardi et il pontone che li soprasta a cavallo è fondata nel sasso vivo, si che né con zappe né con mine si li può far nocumiero alcuno et certo ridotta nel stato deve esser, sarà una de le principali fortezze de la cristianità. Da la parte verso il mare a la destra di detto pontone ove è la cittadella ha da esser fatto un mezzo beluardo et di nuovo rifatte quasi tutte le cortine a le quali cose no è sta posta mano, ma vi sono le muraglie vecchie nel stato che si trovano, è vero che questa parte resta assai sicura per la porporella che ha da un capo a l’altro, la qual non lassa comodità a nissun navilio di potersi in niuna maniera di accostare. Ha porto capacissimo per ogni grossa armata et si entra in esso per una bocca stretta di passa 25 essendo il resto serrato da una porporella; et giudicando fusse bene tenerlo anco serrato con catena ne feci portar una da Sebenico, che trovai in castello di San Nicolò et ne diedi avviso a Vostra serenità per lettere mie. Dal discorso che le ho fatto la Serenità vostra ha inteso che quanto a la fabrica de la fortezza al stato de la quale più volte con scritture del signor Giulio et lettere mie le ho rappresentato, se ben le parti più necessarie et più importanti che sono quelle di terra ferma et porto sono ridotte in assai buon termine, vi è da far ancor tanto che a lavorar con ogni diligentia non bastarà tutto l’anno che viene per ridurla a perfettione et se sarà sumministrato il danaro al clarissimo mio successor con quella strettezza et difficultà, che è stato sumministrato a me, non bastaranno sicuramente altri dui, havendosi massime negli guastatori grandissima difficultà come si è sempre per havere, perché di quei del paese si può difficilmente servirsi et di poco altro per esser il territorio abbandonato. L’isole mezze dishabitate et molti andati sopra l’armata et il mandar huomini de la terra ferma ha mostrato l’esperientia che non è molto utile perché questi infelici pochi giorni dopoi arrivati vanno per l’infirmità mancando et aniehilandosi come la Serenità vostra ha inteso da lettere del clarissimo mio successor esser avvenuto a gli ultimi che sono stati inviati de li. In questa città in diversi tempi è stato per presidio hora magior hora minor numero di fanti italiani, perché a leunevolte parte di essi sono sta’ mandati ne le altre città di Dalmatia et Albania si come o da la Serenità vostra mi è stata data commissione o ricordato dal signor Giulio Savorgnan et le infirmità sono state in quella città così continue che hanno fatto poco minor danno di quello hanno fatto ne l’armata. In maniera che talhora si sono ritrovati esser in essa molti fanti oltra il bisogno suo et alcune volte non esserne stati, che fossero a bastanza a guardarla solamente, nel qual tempo è stato necessario servirsi de li territoriali et stradiotti et di quelli della città medesima per supplir a le guardie tanto era il numero come è predetto de li morti, ammalati et falliti et sia certa la Serenità vostra che nel licentiare sono stato severissimo et ho osservato questo di continuo, che quando da alcun soldato m’era domandata licentia per infermità ho sempre voluto haver la fede del suo capitano in scrittura et di più o li vedeva io medesimo, o voleva haver dal medico una depositione con giuramento che fossero inhabili a prestar servitio a Vostra serenità.
Per questa causa ne le risegne che più volte ho mandato a la Serenità vostra mancava da l’una a l’altra molto numero di soldati et ne l’ultima che io feci al mio partire ritrovai che le compagnie, che erano di 300, a pena ne havevano 100. Molte si erano quasi del tutto anichilate et quella del signor Giulio medesimo, la qual si ritrova tutta unita presso la sua persona da una sola squadra di 25 soldati che fu ultimamente mandata a Spizza per ordine di Vostra serenità, se ben doveria esser di 500 fanti, nondimeno al mio partir lasciai tra sani et amalati, al numero di 126 solamente, perilchè parendomi che il danaro della Serenità vostra fusse inutilmente speso, ho licentiato nove capitani et rimessi i pochi fanti loro ne le altre compagnie che son restate, si che al partir mio rimasero in quella città in essere fanti 900 incirca comprese due compagnie che allhora arrivorno. Non voglio restar di dir a Vostra sublimità per beneficio di quella povera fantaria, che l’ordine tenuto fin hora di dar una paga di soventione et una a la barca et la terza subito arrivati è la rovina de soldati, perché essendo le due consumate prima che gionghino et la terza ritenuta dal capitano per le armi, restano li soldati sino al tempo de l’altra paga senza modo di sostentarsi, onde nascono le infirmità et le anichilationi de le compagnie. Il rimedio saria per mio parere che in luogo de la sovventione la Serenità vostra, secondo l’uso antico, desse un ducato solamente per fante et a la barca si ritrovasse preparatione di archibuso et morione per ciascun fante che non n’avesse et insieme anco d’un pagliariccio et d’un gabbano, le quali robbe non costariano tutte insieme quanto si fa pagar il capitano da soldati le armi solamente, de le quali robbe la Serenità vostra sen’andasse reintegrando un tanto per paga come la fa de’ danari dati in sovventione, perché così s’haveria il soldato armato, vestito et insieme anco li si harebbe preparato comodità per il dormire et in caso di morte al soldato più facilmente potria la Serenità vostra ricuprar il suo da le armi li restassero, che non fa hora del danaro. Tornaria anco a gran comodo che li soldati che si fanno ne la Romagna et ne la Marca passassero di là in Dalmatia, ove andariano con minor spesa et più freschi et più atti a servirla, sicome è stato fatto in parte di quelli sono andati in armata facendo far loro le risegne al gionger de lì prima che smontassero di barca, come è stato osservato anco da me et chi potesse insieme con la fantaria italiana haver qualche numero di Uscocchi et Martellossi, haveria molto meglio proveduto al bisogno perché sicome gli Italiani sono impatienti di ogni incomodità et la qualità del paese mal atti a guerriggiar co’ Turchi, così questi essercitati a le fatiche et pratici de i siti, riescono attissimi a combattere co’ l’inimico et seguitarlo et ritirarsi si come porta l’occasione. Ne io mancai di tentar di haverne quel meglior numero che io potevo, facendo proclame di liberar banditi et altre gratie si come da la Serenità vostra mi fu comandato, ma di questi n’hebbi pochissimi et se ben tentai col mezzo anco di monsignor reverendissimo di Nona, con li capi di Segna, Buccari, Ledenizza et altri luoghi haverne a quel servitio, non fu mai possibile et ho inteso ciò esser avvenuto perché fu fatta lor prohibitione da li ministri di Sua maestà cesarea. La cavallaria ordinaria di stradiotti et Corvatti, che doveria esser in numero 202 a la prima risegna, che io feci a pena ritrovai la mità et questi per la povertà in così tristo stato, che di pochissimi mi potevo servir et è stata certo giusta et pia la deliberatione che la Serenità vostra fece di accrescerli la provisione. Parve a Vostra sublimità di aggionger a questa cavallaria una banda di 375 territoriali sperando come comunemente si giudicava doverne ricever utilissimo servitio. Fu spedito il capitanio Astor Longaretto con 50, il capitano Celso di Negri con 40. Il conte Brandolino con 60 et ultimamente il signor Brunoro Zampesco con 225. Tutti questi se fossero venuti ad un tempo medesimo potrebbero haver fatto qualche honorata fattione, ma venir una compagnia molto tempo dopo l’altra, ha causato che non prima era gionta una che l’altra per la maggior parte, per la gran carestia del viver de cavalli, era mancata et la Serenità vostra ha fatto la spesa senza niun frutto. Et volendosi servir ultimamente de le compagnie del conte Brandolino et capitano Celso per Dulcigno et Antivari, le mandai le risegne in che stato si trovavano, che una di 60 territoriali era ridotta in 20 et gli altri di 40 in 18 et questi anco poco atti al bisogno si che si conviene restar di mandarli, come scrissi a Vostra sublimità et il medesimo è avvenuto ne le compagnie del signor Brunoro, le quali compagnie tutte sono state mandate nel Friuli et è restato solo a Zara il capitano Astor Longaretto. Veramente a giuditio mio quella città se ben ha bisogno di molte forze non ha però bisogno di molta cavalleria perché essendo l’inimico fuori così potente et ne la cavalleria specialmente, non è possibile mai farne tal che si possa esser pari a lui et quando anco si facesse, non si ha modo di nutrir massime di feni, li quali è bisognato far condur dell’Istria con grandissima spesa et con tutto ciò né questi, né quelli, che la Serenità vostra manda da Venetia hanno a gran gionta bastato a quella cavalleria, la qual sempre che voglia combatter con l’inimico, corre grandissimo pericolo per la qualità del sito, perché scoprendo da li monti la cavalleria che esce da la città, sta all’arbitrio suo venirla ad assaltar, se è poca et se è molta ritirarsi dove non può esser seguitato. Et li cavalli de territoriali mal avvezzi a quel paese sassoso camminando due sole miglia tornano la maggior parte sferrati, onde per difesa di quella città quanto a la cavalleria per andar a prender ligna, far scoperte et anco qualche scaramuccia nelle masiere, aiutata da pedoni basta la strattia solamente con quelle compagnie, che sono de Crovatti et se niun augmento si havesse da far, haveria da farsi de li Crovatti medesimi che hanno li cavalli più essercitati et si sono offerti molti essi di farne quando la Serenità vostra li sia comandato, però è necessario che tutto questo presidio sia di fantaria et sennò si havesse da temer d’altre forze che di quelle di terra, bastaria che fussero 1.500 buoni huomini, il qual numero fusse sempre supplito; ma se insieme anco s’havesse da temer d’armata, bisognariano 4.000 e molti più o di continuo far nuove espeditioni per supplir a quelli che mancano. Vedendosi per ordinario succeder così in tutte le compagnie che sono state spedite in quella Provincia come ho predetto.
Il territorio di questa città, il qual è di 25 in 30 miglia, fertilissimo et molto habitato, fu da alcuni pochi castelli in fuori tutto abbandonato. Questi furono il castello di Novegradi, il quale è lontano da Zara miglia 25 et se ben ha governo separato, ha po anco esso dependenza da quella città.
Il castello di Zemonico, che è lontano 10 miglia et quello di Polissani miglia 12, amendui luoghi di poca consideracione, anticamente fabricati senza fianchi nè difese reali et oltra questi due piccole torri che sono in vista de la città, in cima il monte et servono per far sopra del nimico chiamate, l’una Belveder, l’altra Malpaga; et un’altra a la marina chiamata la torretta di Marco et la torre di Verzevo, la qual’era dishabitata et per servitio del castel di Zemonico fu dal signor Giulio fatta rassettar et se ben da Novegradi in fuori niuno degli altri castelli si poteva mantener nondimeno secondo l’ordine datomi da Vostra serenità, deliberai col parer del signor Giulio Savorgnano che fussero guardati li dui di Zemonico et Polissani da 25 fanti italiani, a li quali fussero anco aggionti 13 del paese, si che in tutto fossero 40; et ne la consulta che facessimo fu fatta la compartita in questo modo. Che il signor Giulio prendesse la cura di Zemonico et lo facesse guardar da suoi soldati. Il governator Scotto Novegradi et Verzevo et il capitanio Andrea dal Sal Polissani et fu da ciascuno esseguita la deliberation fatta, essendo da me anco mandato in cadaun di essi luoghi vittuarie et munitioni abbondantemente. Di Nona non havendo all’hora il signor Giulio voluto risolversi non fu fatta altra deliberatione. Fatte queste resolutioni et essecutioni, parendomi di potere star con l’animo quieto, deliberai d’andar a veder i luoghi di questa Provincia et specialmente Starigrado et Vicicchio, de quali m’era da Vostra serenità stata data particolar commissione et venne anco in mia compagnia il medesimo signor Giulio, ritrovandosi allhora in quella città l’eccellentissimo General, che pochi giorni innanzi era arrivato et mentre erano in viaggio intendessimo che il caporal, che era sta mandato in Zemonico dal signor Giulio con 25 fanti de li suoi, senza haver mai visto il nimico ne anco lontano, era fuggito con tutti li soldati et haveva abbandonato il castello, ma condotto a Zara hebbe dal eccellentissimo General il castigo che meritava la sua viltà, havendolo Sua eccellenza fatto impiccare et perché li Turchi non si erano avveduti de la fuga di costui fu ritrovato il castello abbandonato et mandati da Sua eccellenza altri 25 fanti, pur de la medesima compagnia del signor Giulio con un nuovo caporal et aggiontovi li 13 Schiavoni che erano stati deliberati mandar. Sopraggionse alcuni di dopoi l’illustrissimo signor Sforza, col qual’essendo sta comunicato ogni cosa fu parer di Sua eccellenza che Nona et Polissano fossero smantellati, del che Sua signoria illustrissima, con il signor Giulio se ne presero la cura et nel resto si esseguisse quanto era stato deliberato et perché messier Giulio Grisogono gentilhomo zarattino, che haveva sin dall’hora havuto il carico del castello di Zemonico, essendo venuto a Zara per la sua indispositione non voleva più ritornarvi, ha proposto di mandar uno in luogo suo et dal clarissimo messier Fabio da Canal fu ricordato per sufficientissimo a questo carico Ieronimo Contarini che all’hora era capo della galea, del magnifico messier Pietro Trivisan governatore et haveva la lingua schiava pratico del paese, per il testimonio del quale da noi messo come si doveva in molta consideratione, se ben da niun di noi era sta prima conosciuto, fu dall’eccellentissimo General liberato per questa causa dal servitio della galea. Ma da l’effetto che seguì noi mostrò quanto s’era ingannato quel gentilhomo et quanto poco honor fece costui al suo testimonio, perché essendo andati gli nimici sotto Zemonico con cavallaria et pedoni et alcuni pezzi di artiglieria con li quali se ben batterono il castello, gli havenne però tutto poco danno esso Contarini, o per viltà o per tradimento, che da la più parte è creduto rese il castello a nemici et restò nel essercito da la qual poca fideltà ne diede segno per haver egli astutamente pochi giorni inanzi il comparer de nimici licentiati senza occasion alcuna et senza farlo saper né al signor Giulio né a me, una parte de li fanti italiani e tutti li Schiavoni si che di 40 che erano non si ritrovorno nel render del castello più che soli 15 come per il processo formato si vede, né in ciò voglio io dar colpa alcuna al signor Giulio sicome ha egli voluto dar a me perché io son certo che se gli havessi potuto saper il mancamento di questi fanti haveria proveduto di altri come era offitio suo et per il governo general che teneva della militia et per haver ne la consulta fatta fra noi, havuto particolar cura di questo luogo di Zemonico et per esser stati li fanti che si trovavano a quella custodia et li primi et li secondi sempre de li suoi medesimi. Preso Zemonico s’inviò una parte dell’essercito verso Polissani nel qual luogo non havendolo il signor Sforza potuto smantellar fu continuata la custodia deliberata de li 25 fanti con i caporal del capitanio Andrea dal Sal et li 13 huomini del paese. Questi se ben erano tutti in essere et havevano munitioni et vittuaglia quanto bisognava, veduti gli nemici et intesa la presa di Zemonico, abbandonorno la notte seguente il castello, ma nel venir verso Zara diedero in una imboscata et furon la maggior parte morti et fatti prigioni. L’isteso fine hebbe la torre di Verzeno, la qual sicome ho detto si teneva guardata da 6 soli soldati di quali havendone li Turchi presi dui, che erano andati a far legne, accostatisi a la torre la presero per forza. Niun di questi luoghi era per parere del signor Sforza da mantener et se il tempo havesse servito giudicava esser bene che tutti fussero smantellati perché non hanno difese per artiglierie, non hanno acque né sono capaci di tenervi numero di genti a la difesa, né possono esser soccorsi, onde chi è patron de la campagna sarà sempre patron di tutti essi luoghi.
Fra li luoghi indifesibili era anco la città di Nona, città antichissima, la qual circonda 900 passa, priva di difese et per il cativo aere quasi del tutto dishabitata. Di questa hebbi ragionamento più volte col signor Giulio inanzi la venuta del signor Sforza, per haver il parer suo quanto a smantellarla, ma a bocca et in scrittura mi parlò sempre così irresoluto che non havendo mai possuto intendere qual fusse la medesima sua, fui forzato mandar a la Serenità vostra essa scrittura et aspettarne da lei la risolutione. Sopraggionse da poi l’illustrissimo signor Sforza, il parer del quale fu che la città si smantellasse et si tenesse solo la torre di Candia, guardata da 12 fanti, il qual effetto disegnò Sua eccellenza doversi far da l’armata et fece anco per tal causa preparar gli instrumenti che bisognavano. Né io mancai con ogni studio sollicitar Sua eccellenza che lo facessi, come scrissi a Vostra serenità per mie de 30 maggio et 20 giugno, ma non havendo potuto farlo prima che partisse lasciò il carico al Savorgnano al suo ritorno da Spalato, ove andò con signori illustrissimi et hebbi anco tre da Sebenico dal detto signor Giulio, che dovessi tener a Zara per tal effetto il colonnello de la Penna. Fra tanto il magnifico messier Paulo Zane che era Conte in quella città, venne a Zara ferito da un pezzo d’artiglieria, che crepò, onde essendo restata la città senza governo, con poco numero di soldati per guardar tanta circonferenza giudicai esser necessario mandarmi persona di qualche auttorità et esperientia che la custodise fin che giongesse il signor Giulio de qui, non havendo voluto metter mano in essa senza la presentia sua et mandar il capitanio Camillo de Bini, huom di molto giuditio et valore, con la sua compagnia uno de capitani del predetto colonnel de la Penna, a ciò non potendosi smantellar, almen si potessero salvar et difender le anime di quel paese che s’erano con li suoi animali ridotte in essa da qualche assalto de nimici, i quali essendo accampati sotto Zemonico ogni giorno correvano sino su le porte per saccheggiarla. Fui dipoi con molta instantia ricercato dal reverendissimo di Nona et altri gentilissimi che havevano entrate in quel luogo et in conformità scritto dal predetto Camillo Bini et altri capitani che erano a quella custodia che mandandovi una compagnia di cavalli si harebbe fatto il raccolto che era bellissimo. Ne ragionai con il clarissimo Proveditor di cavalli non essendo ancor ritornato il signor Giulio, il qual essendo dell’istesso parere fu deliberato che vi andasse il capitano Astor Longaretto con 25 cavalli, al qual Sua magnificencia diede una guida che l’accompagnasse et gli diedi ordine che potendo con sicurtà fare il raccolto lo facesse et se no l’abbruciasse, a ciò non andasse in poter de nimici. Partì questa compagnia giongendo a Nona senza alcun disturbo et due giorni dopoi arrivati uscì la cavalleria et parte de la fanteria in campagna senza il suo capitanio che era rimasto ne la città indisposto et havendo ritrovate due imboscate di nimici ruppe l’un et l’altra ma seguitando la vittoria con troppo ardire, diedero ne la terza la qual era molto grossa et benchè si difendessero un pezzo valorosamente, furon non dimeno rotti et restorno sette di loro fra morti e presi con la perdita di alcuni fanti. Il resto della cavalleria et fanteria se salvò ne la città conducendo seco alcuni cavalli de nimici. Questo successo fece mutar parer al clarissimo Proveditor Canal et dove era prima stato et partecipe et consentiente a questo fatto et haveva egli medesimo data la guida si accostò al parer del signor Giulio il qual non si contentò di biasimar la deliberation fatta giudicandola dal Veneto, ma si dolse anco che la non fusse sta con lui consigliata, quasi che valesse che essendo anco assente si come era quando si delberò in cosa che non portava dilatione li fusse dimandato il suo parere. Et non contento l’un et l’altro del veder scritto lettere che scrissero a Vostra serenità dal clarissimo Proveditor Canal ne la camera et ala presentia, ove si trovava grandissimo numero di gentilhomini furon dette al reverendissimo vescovo di Nona parole di si poco rispetto verso quel prelato, veramente degno di molto honore perché da Sua magnificentia fu mentito il vescovo perché haveva detto quello che era vero, che questa deliberatione era stata anco di sua mente. Onde fu forzata Sua signoria reverendissima haverne dal colonello de la Penna et dal capitanio Astor predetto i quali erano sta presenti a la deliberation con giuramento, quanto in ciò sapevano. Et da le fedi loro che io ho presentate et suplico la Serenità vostra che comandi che siano lette, vederà che l’un et l’altro chiaramente afferma quello che è vero. Che il Proveditor sopradetto sentì che la cavalleria vi andasse et egli medesimo li provide di una guida, se ben da poi ne lettere scritte a Vostra serenità l’haveva costantissimamente negato. Finalmente tornato il signor Giulio andò a smantellarla nella maniera che io scrissi a la Serenità vostra per lettere mie di quel tempo.
Dopoi la presa di Zemonico et Polissani volsero gli nimici tentar anco il castello di Novegradi et v’andò l’essercito con quella artiglieria che si ritrovò haver et benché più giorni il battessero da due parti, fu non dimeno valorosamente difeso da quei dentro, né io mancai essendo rimasto rovinato, in molti luoghi mandai l’ingegner Trevisi a rassettar le parti offese et certo serenissimo principe questa forteza è d’haver in molta consideratione perché da quella parte è la difesa di tutto il territorio di Zara e posta nel confin di Carin et Obrovazzo sopra un lago di circuito di molte miglia, che fa la fiumara di Obrovazzo, ove sbocca nel mare il qual lago riceveria ogni grand’armata et se i Turchi fossero patroni di quella fortezza essendo anco patroni del paese, haveriano grandissima comodità da molti boschi che vi son vicini di far che numero volessero di legni armati con li quali non solo teniriano assediate et disoleriano del tutto l’isole vicine, specialmente Arbe et Pago, ma fariano impedimento grandissimo a la navigation di tutto questo mare. È necessario che questa fortezza sia tenuta del continuo ben munita, perché il darli soccorso per via da terra per esser hora il paese tutto de nimici et il luogo lontano miglia 25 da Zara è impossibile. Restà anco difficile per via da mar perché è necessario passar prima uno stretto di due miglia di longhezza, che in alcune parti è fra molti così stretto che a fatica una galea sola può passare et da quei monti può ricevere grandissima offesa da nimici senza poter far loro alcun danno. Per questa causa fu per ricordo dell’illustrissimo signor Sforza deliberato da Vostra serenità di far due torri da la parte di Possidaria, che è la parte possessa da la Serenità vostra, essendo l’altra parte oltra il canale paese turchesco. Voleva Sua eccellenza che queste due torri si facessero l’una dal basso per impedir l’uscita de le barche di Obrovazzo, l’altra ne la sommità del monte per difender quella parte del stretto stando come cavalleria a la parte opposta et da la Serenità vostra furon mandati danari a magnifici Rettori di quel tempo et fatta preparation di calcina sopra il luogo, che tutta via si ritrovano ma non è stato fin hora fatto niente et ho inteso che Turchi hanno intention di voler essi metter in opera quello che era sta deliberato et fabricar loro quelle due torri a la qual cosa quando non fusse fatto impedimento restaria impossibile il poter più in minima maniera soccorrer il sopradetto luogo. Ricordarei anco a Vostra serenità perché veramente con grandissima difficultà si ritrova né capitani né soldati che vogliono andar a servir in quel luogo et in tempo mio mi è bisognato far mutation di cinque capitani perché quei soldati patiscono assai et se ben io non ho mai mancato oltre il tener continuamente quel numero di soldati che fu deliberato dar loro ogni comodità possibile di vittuarie non si può però far che non vengano a patir molto et che non si habbi molta difficultà d’haverne, onde più facilmente si troveria chi andasse a servir in quel luogo se in quel tempo stanno li fusse lor dato la minestra et il biscotto come si fa a quelli d’armata; et se fossero oltra di ciò fatti certi di dover esser ogni tre o quattro mesi mutati. Saria anco di molto benefitio l’eletion di un monitioniero che ricevesse et tenesse conto de le vittuarie che le son mandate, non volendo pure il magnifico Castellano haverne cura.
Confine al territorio di Zara è la città di Sebenico situata ne la costa d’un monte, populata et miercantile specialmente per il traffico de sal, circonda intorno 1.000 passa et a canto di essa passa il fiume di Scardona che fa ove sbocca in mare un piccol golfo dal qual si vien a la città, prima per un canal stretto d’un miglio, che ha a la sua bocca la fortezza di San Nicolò; et haveva nel fine duo castelletti i quali, come inutili et che davano spesa assai a Vostra serenità di pagamento et potevano portarle malefitio, sono stà rovinate. Ha la muraglia debile senza fianchi et 200 passa lontano un monte nominato San Giovanni, che li sta sopra come cavaliero.
Traù città di minor circuito et per un canale che le va intorno bagnata da tutte le parti dal mare, si congionge a la terra ferma con un ponte et con un altro a l’isola di Bua, la qual isola è populata di buona gente. Ha medesimamente la muraglia vecchia et debile et per ogni altro assalto che per corrarie.
Spalato è città situata in luogo piano, anco essa sopra il mar come sono l’altre. Fu già palazzo di Dioclitiano imperatore, è il medesimo circuito di Traù, di 800 passa et tiene ancora più del palazzo che de la fortezza et si può dir che è solamente serrata di muraglia ma non fortificata. Ha nel suo territorio la torre di Salona per frontiera contra l’inimici, che è per torre assai forte et saria la prima assalita. Vicino a la quale ci è lo scoglio di Vramiza, che per ordine datomi da Vostra serenità mandai a veder da l’ingegner Trevisi et fu poi veduto dal signor Giulio et da me et giudicassimo che per le molte imperfettioni che pativa non haveno terreno et essendo da ogni parte esposto a l’offesa nimica per non haver niun piano di dentro, non potesse ricever fortificatione.
Almissa, ultimo luogo della Dalmatia di piccolo circuito, pur a canto al mare, è bagnata da ponente dal fiume Litina, che le fa un comodo porto per qualche galea et anco essa è cinta di muraglie debili et mal fiancheggiata, ha se ben è separato da l’altezza, poco lontano il castello di Starigrado, che li sta sopra et la domina. Et discosto due miglia in circa è quello di Visicchio, ambi duoi piccioli ma forti per il sito.
L’isole di Dalmatia sono per circuito Curzola miglia 90, Liesina 130, la Brazza 80, Pago et Vegghia 100 per una, Arbe 30 et Cherso Ossero 140, ciascuna di esse popolata et fertile assai et sariano molto più se non fossero sta travagliate da nemici, ma tutte povere da Pago in fuori, de la quale per i sali Vostra serenità ne cava grandissimo utile, ma è necesario volendone trar questo benefitio che la sia continuamente guardata, perché ha il paese nimico così vicino che in un hora solamente può esser assaltata senza la qual sicurtà gli huomini de le saline abbandonaranno quell’esercitio sicome già haveano cominciato a far non havendo però mancato io sempre che ho avuto forze tenervi qualche legno armato per conservation di quelle isole. Questi sono i luoghi che ha la Serenità vostra ne la Dalmatia.
Ne l’Albania sono quattro città: Cataro, Budua, Antivari et Dulcigno. La città di Cataro è posta nell’estrema parte d’un golfo longo 12 miglia, a piedi d’un monte, ne la sommità del quale ha un castello. A la bocca del golfo è la fortezza di Castelnuovo, luogo dei Turchi, di dove sono continuamente travagliati i navili che vanno a quella città et rendono difficilissimo il soccorrerla, onde è necessario sempre tenervi una grossa guardia, essendo hora massime gli nimici ingrossati et per la presa di quelle due fuste catarine et molte bracere et brigantini che si trovano haver armati. La città ha le muraglie vecchie ma pur in assai miglior stato, che non son quelle d’ogn’altra città da Zara in poi, ma niuna cosa tornaria a maggior comodo che ridurla sopra lo scoglio chiamato di stradiotti, sicome è stato più volte ricordato dal’illustrissimo signor Sforza et da altri in altri tempi.
Budua, Antivari et Dulcigno sono quanto a la sicurtà nel medesimo stato, tutte con mura antiche ma non ben fiancheggiate, due sono al mare, Dulcigno et Budua, che ha un bel porto et Antivari, se ben è fra terra poco lontano, in cadaun di questi luoghi è stato tenuto quel presidio di soldati che da la Serenità vostra fu deputato per il suo bisogno et ultimamente per i disegni che haveano alli magnifici Rettori di Antivari et Dulcigno et speranze di sollevation di quei populi fu maggiormente ingrossato con quel numero che da lei mi fu data comissione et insieme mandate le quattro barche longhe armate, le quali crederei fusse bene che si disarmassero, perché oltra la difficultà che si ha di trovar huomini che voghino, a la dritta corrono grandissimo pericolo d’esser prese tutte da una sola fusta et la guardia di quelle marine non ha da esser fatta se non con galere o fuste almeno.
Li popoli de l’una et l’altra Provincia sono a la Serenità vostra fedeli et se si fosse potuto valer de le ordinanze di Dalmatia haveriano prestato utile servitio perché erano assai ben essendo eccitate ma nel principio di quei moti attesero a salvar se stessi e le famiglie et la roba et una parte andò a servir la Serenità vostra sopra l’armata et forsi l’istessa fede troveria ne’ populi vicini sudditi del Turco con ogni possibilità di fortuna, che il signor Dio le concedesse et specialmente ne l’Albania. Se le forze del nimico saranno quelle sole che si trovano a li confini, benché siano molte essendo da la parte di Dalmatia, 3 sanzacchi di Cliuno di Bosna et Ducato, i quali fra le tre possono metter insieme 8 in 10.000 cavalli et gran numero di pedoni et quei d’Albania molto più, haveriano queste città travaglio grandissimo, ma si potria sperar che molte di esse si conservassero perché non hanno artiglieria d’importanza et con tutto lo sforzo che fecero quelli a li confini di Dalmatia quando andorno sotto Novegradi et Zemonico, non haveano altro che due soli pezzi, uno di 20 l’altro di 30 et gli altri tutti pezzi piccioli. Ma se non trovandosi hora questa nation occupata in altra impresa di Levante volesse voltar le sue forze tutte di qua et seguitasse quella preparatione che s’intende esser incominciata di gittar l’artiglieria turca, non saria luogo in tutta la Dalmatia et Albania da Zara in fuori del qual non si dovesse star con grandissimo timor et molto più se havessero spalla da un’armata, de la qual cosa ch’el signor Dio che non si haveria da dubitare per quella che preparerà la Serenità vostra et gli altri principi quando piaceria a Sua divina magnificentia che compiutamente seguì la conclusione che la lega. La cavalleria che fanno questi sanzacchi si vede esser di persone ardite et valorose, che non temono qual si voglia fatica et si arisicano ad ogni pericolosa impresa. Va al presente la maggior parte armata di corsaletto et morione con picco e scimitarra. La fanteria va malamente armata, alcuni con mazzocche di legno, altri con mezze baste con un ferro come di frezza longo un palmo et portano qualche archibuso. La maggior parte sono christiani et hanno sforzatamente ad unirsi nel campo per timor de le pene et si deve temer più per il numero che per il valore.
Ho ricevuto da Serenità vostra nel tempo sono stato a quel governo per conto di fabrica al partir mio di 10.000 et alcuni mesi dopo di 3.000 et ultimamente da magnifico messier Catarin Malipiero furon consegnati al magnifico Capitanio altri di 8.000; de li primi 10.000 ne diedi 2.000 al detto magnifico Capitanio per man del quale son sempre passati tutti li pagamenti de la fabrica nella maniera che io le dirò. De gli altri 8.000 et per necessità et per commissione de la Serenità vostra datami in tre sue mi servii nel pagamento de fanti. L’ordine che si è tenuto ne la spesa de la fabrica è stato questo. Che de gli mercati, spese di burchi, salariati et altro sono state sempre levate le bollette per il vice collateral di quella Camera et sottoscritte da gli magnifici Rettori et da me avenivano pagate da magnifico capitanio non havendo io voluto alterar l’ordine che si teneva avanti la venuta mia, perché non paresse che io volessi levarli la sua iurisditione potendo bastar questa sopra intendentia mia per la buona amministration del danaro. Di quelli che lavoravano a giornata era medesimamente fatto il pagamento dal predetto magnifico Capitanio continuando l’ordine dato dal signor Giulio, il qual certo era tale che non meritava correttione et il conto di tutta questa spesa datomi dal magnifico capitanio al partir mio ho presentato con le sue carte [?] a li clarissimi sopra le fortezze et li libri ove distintamente è notato ogni cosa ho lasciati nella Camera di Zara, essendo restate per l’istesso conto in mano al clarissimo mio successor ducati 5.115. Per la cavallaria, fanti di Dalmatia et Albania ho ricevuto in più volte ducati 78.624 de quali ducati 35.417 sono stati mandati per Dalmatia et ducati 17.699 a li reggimenti d’Albania. Il resto è sta dispensato ne le occorrenze di Zara come qui sotto le dirò. Li pagamenti de le compagnie de cavalli o de fanti sono sta fatti da Andrea di Conti, ragionato et dal vice collaterale di quella Camera a la banca con la presentia del magnifico capitanio et del magnifico Savorgnan et mio, hora di tutti tre insieme et alle volte da dui di noi, con bollettino, levate dal predetto vice collateral et sottoscritte di mia mano et le provisioni per i castelli del contado similmente son passate tutte per bollete sottoscritte da li magnifici Rettori et da me con l’ordine medesimo. Et per proveder al disordine che io supplicava, che si facesse da capitani de i passatori ho fatto alcune volte far improvistamente la risegna general di tutte le compagnie, le quali in un medesimo tempo passavano nel forte et ivi erano rivedute con molto benefitio di Vostra serenità et perché fu da lor pensata una simile astutia col mezzo degli ammalati feci un secondo rimedio con l’istitutione d’un hospitale al qual applicai le paghe de poveri soldati ammalati et ne prese la c[...] di Nona, con grandissima carità si che con questa via fu rimediato insieme al disordine del danaro et proveduto al benefitio de poveri soldati et se saranno continuate queste due provisioni rendasi sicura la Serenità vostra che difficilissimamente ella potrà esser più ingannata. Per investir in biave hebbi di 10.000 al partir mio et altri ducati 12.039 sono stati tratti da diverse biave, formenti et farine di ragion de la Serenità vostra, mandati in quela città, venduti parte per ordine de magnifici Rettori et parte dal sopramasser d’ordine mio de li quali mi son servito ne li pagamenti de fanti et altre occorrenze nel modo predetto. Feci ogni mio sforzo per la gran necessità ne la qual si ritrovava la città et tutto il paese d’haverne quella magior quantità, che io potevo et con il parer de magnifici Rettori et con l’intervento de deputati della città fu mandato messier Anibal Grisava nobile zaratino, proposto et eletto da loro ne la Marca, al qual fu dato in compagnia il conte Mutio dal Borgo, come pratico del paese et con grandissima difficultà hebbero una certa poca somma di farina, formenti, orzi et fave di qual hebbe il magifico capitanio le farine per biscotti et il magnifico Conte il resto per uso della città, del tratto de quali resta ancor debitore. Procurai anco per una di Roma haverne qualche quantità et ne trassi et comprai da acuni mercanti a diversi prezzi stara numero 945 et dal Mazza et Alberigo stara 3.227, i quali tutti furono consignati al sopramasser et da lui dispensati con mio mandato secondo il bisogno con utile di Vostra serenità et de li migli erano in monitione, quella parte che io ho fatta vedere se ben da lei mi fu data licentia di poterla dar a lire 12 il [...] fu nondimeno spedita la magnifica parte a lire 14 siccome si trovav’esser il suo prezzo ordinario et l’ho fatta creditrice di questo accrescimento siccome d’ogn’altra utilità simile nel libro de le biave, il qual ho fatto tenir separato et distinto da ogn’altro maneggio. Di tutto questo danaro, serenissimo principe, che è capitato ne le mie mani mi son fatto debitor sopra un mio libro nel qual si registravano anco le fatture mandate da Venezia facendo creditrice la Serenità vostra medesimamente de l’utile di quella valuta, che la mi ha mandato. Il medesimo faceva il ragionato ne libri publici nominando le fatture de la qualità del danaro veniva mandato, le quali tutte venivano infilzate et salvate da lui et se occorreva pagar la fantaria et cavalleria di Zara o mandar qualche groppo di danaro per i bisogni de le altre città di Dalmatia et Albania mi faceva far la ricevuta di mano di detto ragionato, nominatamente sopra l’istesso mio libro de la qualità et quantità degli ori et monete, che li venivano contate et il medesimo ordine ho tenuto con Camillo Diedo del clarissimo messer Francesco scrivan de la Camera di Pago, il qual mentre stette ammalato Andrea di Conti mi ha servito per ragionato et li libri di tutti questi maneggi ho portato di qua per presentar a gli signori Tre savi secondo l’ordinario et simili ho lasciato di la per instruttione et se ben non ho mancato di usar ogni diligentia per esser ben avvisato del progresso de nimici ritrovandomi non dimeno haver gran comodità et per li prigioni che si facevano et per quei di nostri che si liberavano non ho avuto occasione di spendere per questo conto più che 21 soli ducati in tutto il tempo mio et ne lo spedir tre a la Serenità vostra con le quali penso più tosto essere sta importuno, che negligente havendone mandante pocomeno di 400, non ho però speso altro che nove soli ducati. Con questa fede, con questa diligentia et misura ho amministrato il danaro de la Serenità vostra et in questa et in ogni altra cosa hanno potuto le forze mie procurar il servitio et util suo l’ho fatto con ogni prontezza, come son debitor ancorchè serenissimo principe sono stati tanti i travagli che ho patito, che poso dir con sicurtà non esser possibile imaginar carico di maggior peso perché ad un tempo medesimo mi è convenuto combatter col nemico, che et per il numero de le forze che teneva et per volontà di chi havea il supremo grado ne la militia, ne ha si può dir sempre fatto star come rinchiusi ne la città, ho convenuto combattere con la necessità perché havendo perduto il territorio et essendo il raccolto venuto tutto ne le mani dell’inimico, non havendo bastato le forze di tutta la nostra armata, per ricuprarlo, è stato in quella città et in tutta quella Provincia grandissima strettezza et mancamento di vivere. Et mi è accaduto oltra questo sentir una nuova molestia la qual non mi imaginai mai dover sentire et questo fu la alienation da me che li magnifici Rettori et signor Giulio Savorgnano ne l’union del quale soper ogni altro havea posto ogni speranza di buona riuscita et certo posso dirlo arditamente dicendolo con verità con niun di loro per mia causa, ma per servitio de la Serenità vostra solamente. L’alteratione col magnifico Conte nacque per la provisione che io feci forzatamente in materia del pane il quale havendo io trovato, che si vendeva senza calamier publico con grandissimo danno de poveri soldati et universal mormoratione più volte ne avertii Sua magnificentia che vi provedesse, né havendolo mai voluto far fui forzato trovar io un pistor al qual dal sopramasser li veniva consegnato tante stara di farina il giorno, quanto importava il viver de soldati et li faceva loro il pane con molto avantaggio. Spiacque a Sua magnificentia questa mia provisione et tentò d’impedirla et distrugerla con darli diversi travagli et con sententiarlo a pagar il datio de le 10 per 100 contra una mia termination fatta per inanti et contra un ordine li fu dato in questa materia da me, al qual non volse prestar obedientia. Seguitò poi il formar del processo che mi commesse Vostra serenità in materia degli ogli et altre operationi che maggiormente accrebbero l’odio di Sua magnificentia verso me, senza minima mia colpa. Hebbi molta fatica tener in freno la natura del magnifico Capitanio se ben amorevole troppo per il vero colerica et un poco imperiosa et benché io con charità paterna accomodassi molte difficultà che hebbe Sua magnificentia con diversi et con amorevolezza grandissima lo facessi avvertito, ricevette non dimeno questi miei offitii in pessima parte. Et havendo inteso per tre scritte da li suoi da Venezia, che erano sta rappresentate a gli eccelletissimi signori capi le parole ingiuriose dette da lui al colonnello sotto governator con poca ragion dal canto di Sua magnificentia, non cessò dal’hora indietro cercar in ogni via che poteva il mio pregiuditio et io come dovevo gli acquietai insieme. Et il medesimo offitio feci quando da Sua magnificentia fu dato con poca occasione un schiaffo a messier Paulo Begno, gentilhomo zaretino, de le principali famiglie di quella città con pericolo di far qualche importante sollevatione per le molte dependentie che ha di parenti et amici, il qual essendo venuto a darmene querela, tanto operai che s’acquietò et questo fu forse l’equivoco che si disseminò, che io havessi dato un schiaffo al conte Brandolino. Questo istesso feci con il capitanio Ferrante Corso che era disegnato a la custodia di Novegradi et per non haver esso voluto ne la sua compagnia per caporal un servitor di Sua magnificentia che egli non giudicava degno li disse a la mia tavola et presentia del magnifico Conte et mia così brutte et così ingiuriose parole, che per parer del signor Giulio et mio fu giudicato che non era bene ma dar una persona tanto offesa a quel governo et in luogo suo fu spedito il capitanio Iacomo Liorsi. Queste occasioni che doveano più giustamente darsi sentimento a me et far lui come quel che haveva errato, più ripettivo ne lo avvenire, il fecero non dimeno più ardito et pochi giorni innanzi il partir mio fu aggionto da ambi due quei magnifici Rettori l’impedimento che fecero i consiglieri de la città de la elettion del Conte loro criminal havendoli molte volte negato il Consiglio et finalmente dapoi che lo ridussero volendo il cancelliere della comunità mandar la parte per ordine de consiglieri, lo cacciorno fuori del luogo et gittatoli li libri per terra licentiorno il Consiglio per il che nacque in tuta la città tanta indignatione, che volevano subito mandar ambasciatori a piedi di Vostra serenità, dolendosi che ad un tempo fussero da nimici spogliati del lor territorio et beni et da i rappresentanti di Vostra serenità del li suoi privilegi della qual cosa essendosi meco doluti con parole importanti, io secondo la inclination de la natura mia cercai di darli il rimedio et finalmente se ben con molta fatica gli acquetai. Col magnifico messier Fabio da Canal nacque disparer per haver egli contra la verità voluto negar d’essere stato consapevole del soccorso che si mandò in Nona di quella compagnia di cavalli, tutto che Sua magnificentia come ho detto di sopra et haveva inteso la Serenità vostra da le fedi del colonnel de la Penna et del capitanio Astor Longaretto non solamente il sapesse ma vi assentisse et egli medesimo vi provedesse di guida, non restò anco sodisfatto di alcune risolutioni che io feci di far participar de bottini come era conveniente alcuni di quei capitani di fanti et cavalli et della povera serattia ne quali tutti esso magnifico Proveditor ne voleva haver tanta portione che altri non restava quasi niente et venivano a meter in pericolo la sua vita per il beneficio solo de la magnificentia Sua et per haverlo avertito che dovesse con quella cavalleria parlar più modestamente et mutar certe forme di parole che usava troppo ingiuriose, le quali alcune volte anco accompagnava con bastonate, si che niuno era che potesse sopportarlo et a tanta alteration venne con me per queste sole cause che non solo non consigliava cosa alcuna meco ne voleva ritrovarsi a consulti, ma se mi vedeva da una parte, andava da l’altra, dicendo di me in ogni luogo et in ogni occasione parole tali che per modestia voglio tacer. Et quel che non meno importa era venuto a tanto che se veniva alcuna provisione per conto di cavalli et io mancava a dir al magnifico Proveditor che la facesse ricever et dispensar, mi faceva risponder che non toccava a lui et se ne tenevo la cura io, diceva che mi ingeriva nel suo carico et l’istesso facevano anco gli magnifici Rettori ne le cose appartenenti a loro. Questa infelicità non ho io già più provata in tante occasioni, che ho havuto di servir Vostra serenità in compagnia d’altri in ambasciarie et altri carichi, con li quali ho sempre vivuto unitissimamente ritrovando parità d’animo et di voler nel servitio publico, ma non è maraviglia simili disavventure son forzati provar quelli che hanno superiorità sopra gli altri et pur doveano questi tutti per honorar il grado che io tenevo contentarsi di far quelle cose almeno che io ricordavo loro per benefitio de la Sublimità vostra. Et se non era disparita fra essi et me in altre conditioni era almeno ne la età per la quale non doveano ne anco sdegnarsi di farlo prontamente et potevano prender essempio da li Rettori di quelle altre città, da li quali tutti io ho sempre havuto tanta obedientia quanta io medesimo havessi potuto imaginare.
Col magnifico Savorgnano hebbi opinion dover vivere con tanta amorevolezza quanta se fussimo stati insieme fratelli per esser stato sempre mio amicissimo et haver tenuto a battesimo Andrea mio figlio. Et certo non fu mia intentione di volerli mai diminuir riputation alcuna, anzi piutosto accrescerla; ma volse la fortuna che essendo nel principio uscita la cavallaria a scaramucciare con gli nimici io sentì contra il suo parere che mi andasse anco una banda di archibusieri a soccorrerla, trovandosi in molto pericolo, la qual opinion mi a non solamente piacque all’illustrissimo signor Sforza, che s’abbatte sopravenire ma volse vi si mandasse de l’altra et v’andò egli medesimo. Restò il Signor Giulio di ciò un poco affrontato et molto più che perché la Serenità vostra per lettere sue de 17 maggio dimostrò sentir il medesimo il che li fece forse credere che fossero state da me ricercate et procurate et maggiormente se ne risentì. Li spiacque che io il facessi avvertito, modestamente però di un offitio che Sua signoria impertinentemente haveva fatto co’l signor Pallavicin Rangone havendoli detto in un ragionamento havuto seco che la fortezza di Famagosta la qual esso andava a difender era fortezza molto piccola et indifensibile, il che venne a dirmi esso signor Pallavicino mostrandosi per questa causa quasi pentito di dover andar a certa perdita non della vita, la qual egli stimava poco, ma del suo honore dal qual suo pensiero io con efficacissime ragioni lo rimossi, sicome la Serenità vostra sa che gliene diedi conto per mie et ne scrisse anco esso signor Pallavicino. Simil avvertimento diedi a Sua signoria d’un officio ch’ella havea mandato a far meco per il suo sergente. Che li soldati si volevano ammutinar per non haver le sue paghe, al qual feci risponder che a lui toccava principalmente reprimer queste insolentie, quando se ne fusse veduto alcun principio, il che per gratia del signor Dio io non vedeva né ho veduto mai in tutto’l tempo mio tutto che mi sii trovato in grandissima strettezza non havendo mancato sovvenir al bisogno de poveri soldati con li miei propri danari fino con l’impegnar gli argenti che havevo portati per uso mio. Resto anco offeso che della perdita di Zemonico si potesse supplicar doverne esser data la colpa a lui per essergli ne la consulta fatta toccata a punto la difesa di quel luogo et li fanti, che furon mandati, stati sempre de li suoi medesimi ma né io di ciò l’incolpai mai né con ragione si può atribuirne a lui minima colpa, ma parte a la viltà di quei soldati, parte a la qualità di quel luogo che non poteva esser difeso, così non havesse egli voluto darne colpa a me et in questo et ne la cosa di Nona, la qual o si deve attribuir a la fortuna solamente, che patrona de la maggior parte de successi de la guerra o al troppo ardir de soldati et se niun la deve havere tocca più presto a lui, che ad altri, che molti miei parlò sempre meco in questa materia oscuro et irrisoluto et quando egli poi vi andò eseguì oltra quello che era stato l’ordine del’eccellenza del signor Sforza et mio dato a Sua signoria in scrittura, che si dovesse tener la torre di Candia la quale egli insieme rovinò. Ma non resta però che Sua signoria non sia un de buoni servitori che habbia la Serenità vostra et d’una ardentissima fede, così potesse la natura sua compatirsi con gli rappresentanti di Vostra sublimità et se non con questi almeno con li capitani et soldati che hanno ne le mani tutta la difesa delle cose di Vostra serenità. Li quali, ella può ben considerar di che animo restino vedendosi usar termini inconvenienti senza niuna causa. Questo è quello che io ho giudicato dover rappresentar a la Serenità vostra facendola certa che non ho detto in tutta questa mia relatione cosa niuna della qual io non habbi la sua giustificatione, così per le fedi et scritture a lei rappresentate come per lettere mie scritte di tempo in tempo a questo eccellentissimo Senato et in altro luogo.
Da le tante dissensioni che io le ho narrate serenissimo principe fui forzato far quella resolutione che io feci di pregarla molte volte a concedermi licentia, non perché io mi trovassi stanco di servirla che questo non sarà mai quanto mi durarà la vita ma principalmente perché io vedeva che i dispareri che erano fra noi causavano pregiuditio nel servitio de la Vostra serenità et che per odi particolari si facevano molti impedimenti al servitio publico onde io giudicai che fusse meglio procurar che da la Serenità vostra fusse mandato di qua altra persona, la qual facesse il servitio suo se non con maggior fede che certo in questo non cedo ad alcuno et diligentia quanto portano le forze mie almeno il facesse con miglior fortuna et rendo a la Serenità vostra infinite gratie di haverla ottenuta et resto contentissimo che il successor che la mi ha mandato è tale che se imperfettion alcuna è stata in me sarà da Sua magnificentia clarissima abbondantemente supplita. Et è necessario che la Serenità vostra li conservi una suprema autorità, altramente io la fo certa, che le cose sue p[...]o grandemente, non lassando in questa niuna dubietà né irresolutione oltrechè l’auttorità del poter provedere corrisponda a la generalità del nome et che quelli a chi tocca obidir mancando del suo debito non riduchino in disperatione il capo che gli ha a comandare.
Per mio secretario ho havuto messier Donà Civran, persona di bonissima mente et degno servitor de la Serenità vostra et per coaiutor messier Bernardin di Garzoni figlio di messer Alvisi segretario giovene di molta aspettatione et molto pronto al servitio di Vostra sublimità, li quali io raccomando quanto più posso a la gratia sua et insieme con questi anco Andrea di Conti il qual ho havuto per mio ragionato et conosciuto diligente et intelligente del suo servitio.