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1599 Filippo Pasqualigo q. Vicenzo

Relazione|

FILIPPO PASQUALIGO
Provveditore generale in Dalmazia e Albania
e Provveditore generale da mar in Golfo e in Dalmazia
9 novembre 1602

Relazione di Filippo Pasqualigo ritornato di provveditore generale in Dalmazia e Albania e di Provveditore generale da mar in Golfo e in Dalmazia

Serenissimo principe, illustrissimi et eccellentissimi signori,
s’era fatto così ordinario et domestico il negotio de Uscochi, che essendone la Serenità vostra, con la frequenza dell’avisi et delle relationi, hor mai non meno informata di quello che siano gli istessi rappresentanti suoi che lo hanno attualmente maneggiato et amministrato, a me Felippo Pasqualigo non restava al sicuro che poterle aggionger di novo, in questo mio ritorno dal carico di Proveditore generale da mar in Golfo, se non me ne fusse data materia dall’accidenti insoliti che si sono incontrati in tempo mio, li quali stimand’io ben degni dell’intelligenza di quest’eccellentissimo Senato, gli li andarò riverentemente rappresentando, con quella maggior brevità et nel meglio modo che mi sarà possibile.
Hanno sempre gli Uscochi esteso il loro corso nella navigatione tanto et non più di quello che si estendeno l’isole et scogli della Dalmatia, avvenga che senza allargarsi più oltre, le tornava molto a proposito il contenersi nelle angustie di quelli giri et rivolte, dove ritrovavano più facile il sottrarre sé stessi dalli riscontri delle persecutioni et l’abbattersi in occasioni di prede, per il che, osservando li passi dal canal della Meleda sino all’Istria, per il spatio di 300 et più miglia, tenevano in modo il tutto infestato, che pochi vasselli potevano transitare senza cader, o dall’una o dall’altra parte, nelle loro mani o pure de ladri paesani, che in compagnia de Uscochi et soli, eccitati dal loro essempio et dalla propria mala natura, si facevano lecito di commettere ogni inniquità. Onde dalle città principali in poi per tutto si vedevano, si incontravano et si sentivano Uscochi nelle vile, nelli castelli, n’i scogli et nella terra ferma et in particolare di mio raccordo hanno tenuta sempre una ordinaria residenza nelle isole di Curzola, Brazza et Solta et a Sabioncello, così che come erano già divenute impraticabili le boche di Narenta, per avanti tanto frequentate per negotio di mercanti, così si erano fatte innavigabili anco tutte quelle acque vicine, poiché sino le fregate da Catharo con lettere publiche, non si arischiando di fare il solito viaggio, convenivano pigliar la volta fuori di Lagusta per poter passar sicure, con incommodo grande et dilatatione delli avisi. Però essendo quelle parti più che l’altre infestate et insidiate et perché gli Uscochi alle volte cacciati dalle nostre guardie si ricoveravano a Sabioncello et nelli porti di Sabioncello Cavo Cumeno [?] dove si riducevano con le prede, li signori Ragusei, mossi dalli rispetti turcheschi, l’anno 1599 (nel quale principiò il mio carico et dal quale principierò li particolari di questa mia espositione) mandorno a quella volta un capitano con 200 huomeni, con nome in apparenza di volerli reprimere, ma in tanto lontanno da alcuna buona riuscita, quanto che anzi conversavano familiarmente insieme; tutta via furono in fine necessitati a mutar proposito, per che l’emino di Macarsca, al quale pochi giorni prima havevano gli Uscochi svaleggiata la casa, l’addimandava il rifacimento, non solo delle cose sue famigliari, ma anco di grossa summa di denaro de ragion del datio et gabelle del Signore, che diceva esserle stato insieme rubbato, attribuendo la colpa ad essi Ragusei, per che era stato condotto il furto n’i luochi loro, che come Proveditore dell’armata mi ritrovavo in quelle acque appontorno meco di ridurre con cauta et destra maniera in luoco di dove li haverei potuti haver nelle mani 30 di essi Uscochi, che tanti erano, come fecero, ma di cinque solamente, per il che non parendomi bene di porre le mie genti per così pochi a rischio della peste, che travagliava grandemente quelle parti, ma più per ridurre essi stessi a por mano nel loro sangue, per cavarne megliori effetti, operai così che li tagliorno a pezzi; et quest’accidente fu in tempo apposito che mi venne aviso, che la Serenità vostra riguardando più tosto la natural dispositione mia et pronta volontà di ben servirla, che alla debolezza del mio spirito et delle mie forze, mi haveva eletto al carico di Proveditore generale.
Gl’altri 25 Uscochi che restorno si ritirarono nella Craina, di dove attendevano a fare quelli maggiori danni che potevano, una parte di quali andati con una picciol barca ad assalir un vassello si affoggorno, un’altra parte fu tagliata a pezzi d’i soldati delle barche armate, ch’io mandai a quella custodia et rimanente al numero di 10 venero volontariamente col capitan Luca Da Clissa loro capo a presentarsi da me per servire la Serenità vostra; et così hebbe fine il corso di Uscochi per la Dalmatia da Zara in su, dove da quel tempo in poi, né in terra né in mare, si è sentito danno di sorte alcuna, con sollievo grande et consolatione infinita di quelli sudditi della Serenità vostra, ch’eran vicini a cader in total perditione per le continue incursioni, dalle quali restando anco sicuri li Turchi vicini a quelle marine, si sono sentiti ragionamenti di gran sodisfattione, con una non più guasta quiete di quelli, altre volte anco da quella parte molto travagliati confini.
Nel spacio adunque di tre primi mesi del mio carico, restò affatto libera la Dalmatia dalle incursioni de Uscochi, quali ristretti nel canal della Murlacca, incominciorno ad isfogar la loro rabbia sopra l’isole del Quarnaro et in particolare sopra di Pago, Arbe et Veglia, ma più in quelle per non haver habitatione alcuna nella campagna, che in questa, la quale per la comodità de diversi castelli et vile, che sono dalla parte verso Segna, dove erano ordinarii presidii de soldati et per le frequenti imboscate che vi tenero, non fu più travagliata, doppo che con inganevole maniera li Uscochi riducessero fuori del castello di Dobrigno quelli soldati italiani che vi erano in custodia, di quali se ben ne amazzorno 13, riceverono essi ancora danno molto maggiore, che causò che si astenero dal sbarcarsi più sopra quell’isola, ma si fecero ben doppiamente sentire sopra l’altre doi, in modo tale che quella di Pago restò vicina a compita distruttione de anemali et ad inreparabile ruina; per ch’è tale il sito di Segna, della Murlacca et delle isole che formano il canale, che più ch’io andavo pensando come porgier rimedio a tanti danni, più mi credevo mancar ogni partito di poterlo fare, per esser quel canale impraticabile l’inverno per barche non che per galee, non havendo porti dalla parte delle isole et non potendosi star sicuri in quelli della Murlacca, che sono infiniti, stavano gli Uscochi in Segna o in altro luoco di quelle montagne et credendo et disegnando con proprii occhi la vila o il luoco che la notte volevano sacheggiare, partivano nell’oscurir della sera con le loro barche per un breve traghetto di doi, tre et al più quattro miglia, così che prima che venisse il giorno andavano, depredavano et tornavano con il furto a Signa et tanto più facile le riusciva questa maniera di rubbare, quanto che, o per malignità o per dipendenza di parentado, o pure, com’io credo più tosto, per timore di peggio, quelli isolani non solo non ardivano di opporsi a loro danni, ma né anco di parlare né di dolersi, ma quello che più importa erano minacciati della vita se fussero andati a querelarsene da publici rappresentanti, onde succede che tutti li avisi erano così tardi, che niuna provisione poteva riuscir a tempo debito.
In questa maniera passorno le cose tutta quella prima invernata, si che gli Uscochi si riputavano d’esser assoluti paroni di quel canale, li quali per ciò presero tanto ardimento, che mi mandorno anco a dire ch’io ero Generale della Serenità vostra in tempo di esta et essi erano generali d’inverno, come seguì in gran parte, per che non così tosto incominciò a radolcirsi la staggione, ch’io entrai nel canale et tenendole per ordinario imboscate di barche et de genti in terra dall’una et dall’altra parte di Segna, hebbi nelle mani in pochi giorni tre barche con 42 Uscochi, presi, posso dir, all’ombra delle muraglie di quella città; onde non si arischiando essi di uscir così facilmente in mare, come facevano prima, si ridussero in necessità grande d’ogni sorte di vittuaria et specialmente di panne, per che non potendo ricever soccoso per via di terra d’altra parte che dalla Crovatia, con gran dificoltà per l’asprezza delle strade, per la longhezza del camino et per l’insidie de Turchi et Martellossi, che per ordinario molestano quel confine, convennero quelli scelerati malamente consumare nel vivere di pochi mesi, quello che havevano rubbato et assassinato nel corso di molti anni; et si pure alcuni per necessità si avventuravano d’andar alle volte per mare, per provedersene a Buccari, a Fiume et ad altri luochi arciducali, posso affermare con verità alla Serenità vostra, che pochi sono ritornati a Segna, per che o nell’andar o nel ritornar erano sopragionti et presi dalle barche armate carichi di vino, di farina o d’altre cose tali.
Di qua hebbero principio le angustie de Segnani, li quali, credendosi andar consumando senza speranza di quelli grossi bottini, che per il corso di tanto tempo erano soliti di far in mare et che per procacciarsi simplicimente il vivere convenivano porsi a manifesto rischio della morte, presero risolutione di callar nell’Istria, dove in poco tempo fecero grandissime depredationi di animali, sacheggiorno diversi vilaggi et a bandiere spiegate corseroquella Provincia usando appresso contra quelli sudditi ogni maggior efetto di crudeltà, cosa che tanto più mi premeva, quanto ch’io vedevo che li pensieri che mi andavano per mente, molto appropriati alla urgenza del bisogno, mi erano sovvertiti dalla strettezza delli ordini ch’io tenevo in commissione dalla Serenità vostra, li quali, se ben parevano in prima facia molto ampli et risoluti, non dimeno, quanto più li andavo considerando, li trovavo stretti et pieni di dubiose riserve, poi che tutta l’auttorità ch’io tenevo contra Uscochi et cose arciducali, si ristringeva solamente nell’atto di perseguitarli, cosa che non poteva succeder mai in luoco contra il quale si havesse potuto far il debito risentimento. Perché adunque le insolenze de Uscochi si erano fatte insupportabili, li danni dell’Istria infiniti, grandissimo il dubio che di là si avviassero al Friuli, immoderato il spavento di sudditi et le loro afflittioni et lacrime, convenni finalmente, per aviso che mi venne che Uscochi havevano depredato 8 o 10.000 animali nelle mandre di carsi, risolvermi di sbarcare li Albanesi et Crovati, far saccheggiare Belai, castello del Barbo capitano di Segna (danno di consideratione, da lui di vantaggio meritato per le sue cattive operationi) et far correr quel paese per più di 30 miglia sino a Fianona, saccheggiando vilaggi et ciò che vi era et specialmente un numero così grande d’animali grossi et minuti, che sodisfatta abbondantemente la militia, ne sopravanzò buona quantità, la quale mi parve opera di carità de distribuire a quelli poveri sudditi per risarcimento in qualche parte di loro danni. Et si ben questa in prima parve attione troppo risoluta, prese nondimeno altra faccia et fu tenuta per molto necessaria et conferente, quando quest’eccellentissimo Senato si compiaque di lodarla, insieme con la deliberatione, che riverentemente le significai haver fatta, di fare l’istesso in altri luochi, quante volte gli Uscochi me ne havessero dato occasione; et certo che di qua ha havuto origine ogni bene et è derrivata la estinzione di tante et così invecchiate molestie et quella quiete che si gode hora, tanto longamente in darno tramata et desiderata. Doppo questo successo parve alla Serenità vostra, con sapientissima deliberatione, di presidiar l’Istria con buon numero di fanteria et cavalleria, per la qual cosa si andorno arrestando gli Uscochi dall’essevi così frequenti com’erano prima, perché gli istessi sudditi arciducali, che havevano principiato a sentir dalle nostre militie il spoglio delli loro vilaggi, case et animali, come si continuò di fare in diversi luochi, da che ricorsi con loro ambasciatori alla Corte, hebber in risposta che se li prencipi supportavano, dovessero anch’essi haver patientia, presero espediente di allontanarsi dalla conversatione de Uscochi, di non le dar più ricapito et di non interressarsi nelle sue attioni, sicuri che li danni che havessero fatti a sudditi di Vostra serenità sarebbero caduti sopra di essi; per il che quelli ladri per ultimo partito risolsero di tentar da novo la via del mare et per che la bocca di San Marco et quella di Gliuba l’erano impedite, dalle due torri prudentissimamente fabricate dall’illustrissimo signor Nicolò Donado, precessor mio, passavano in tempo della più arrabbiata fortuna di Buorra per quelle di Segna, quando appunto le galee et barche armate potevano con fatica star legate n’i porti et con evidentissimo pericolo di affoggarsi (segno espresso della necessità in che erano constituiti) passavano a Melada, a Premuda et ad altri scogli, spogliando li vasselli che incontravano in quelli porti. Quando il tempo me lo permetteva io li andavo perseguitando, ma per che questo rare volte poteva essere, per le stravacanti et disperate navigationi loro, pigliai espediente, quante volte intendevo che essi havessero fatto danno alcuno a nostri, d’andar a risarcirmene a gran doppio n’i luochi arciducali et specialmente contra quelli che si erano fatti deppositarii delli furti et fautori delle attioni loro; onde nel corso di pochi mesi, oltre al castello di Belai et quelli vilaggi dell’Istria et la torre et li molini del Danisich [?] vicini a Segna, che dal clarissimo signor Nicolò Lion Capitano contra uscochi, con occasione di fugar una barca che si ricoverò in quel luoco, furono con una mina gettati in aria, risolutione molto ben degna della prudenza di Sua signoria clarissima, poi che non solo levò ad Uscochi così sicuro recapito, ma apportò anco incommodo grandissimo a Segnani, che non havevano altro luoco vicino da macinare; io feci assalire, prendere et saccheggiare la terra di Ledenizze, stimata assai forte per essersi difesa l’anno 1588 [forse 1585 ] da Ferat bassà di Bossina, che con grosso numero de soldati la tenne in assedio 40 giorni continui et dar il guasto a quel territorio; li borghi del castello di Tersato ch’è sopra Fiume, con le ville vicine sino alli confini di Buccari et il castello di Moschienizze, il quale essendosi difeso gagliardamente convennero li soldati nostri maneggiar l’armi più di quello che havevano fatto nelli altri luochi, in ogn’uno di quali restarà per longo tempo una acerba memoria di quelli accidenti et buon avvertimento di non interressarsi più con Uscochi et d’haver maggior riguardo alle cose di Vostra serenità.
Con queste et altre simili maniere rimasero quelli sudditi arciducali molto afflitti et spaventando di peggio, sapendo benissimo ch’io ero d’animo risoluto di passar anco più oltre a danni et ruina loro et vedendosi Trieste et Fiume in modo assediate, che l’era cessato del tutto il negotio et la mercantia, industria principale con la quale solevano esser assai riche et accommodate, richiamavano et gridavano, non più come facevano pochi mesi prima addimandando aggiuto a i loro prencipi, ma protestandole che provedessero alla loro indennità, altrimenti da sé stessi haverebbeno pigliata altra risolutione, non potendo più vivere in tante afflitioni; et così per giusta permissione d’Iddio quelli prencipi, esperimentando n’i loro sudditi di quelle calamità che non credevano o non voleva creder in quelli di Vostra serenità, si risolsero ben presto di mandar in diligentia il signor Gioseffo di Rabatta con carico di supremo commissario, per accommodar il negotio da dovero et non da burla, come fecero tante volte et specialmente il precedente anno nella espeditione delli signori Andrea de Ranoch et Andrea Paradaiser commissarii in Segna, quando tennevano appunto per burla il veder che per qual si sia eccesso che facessero gli Uscochi, non si procedeva più oltre che nel perseguitarli et farli morire quando si potevano haver nelle mani, ma da dovero per che la Serenità vostra col permesso che fussero tochi sul vivo et che fusse colpita anco la radice di quella pessima pianta, li assicurava d’esser risoluta di voler veder in ogni modo il fine di tanti disturbi. Doppo adunque che io hebbi inferito li danni sudetti, levato da quelle marine 60 et più barche, presi et gettati a fondi diversi vasselli, havuti nelle mani tra vivi et morti 80 Uscochi, oltre li tagliati a pezzi nelle occasioni di combattere, nelle quali de nostri non morirne più che 19 soldati in tutto, non comprendendo quelli delle doi barche armate, che temerariamente, trascurando li ordini miei, si persero, quella di Crovati nel stretto di Novegradi, quella d’Albanesi in una imboscata de Uscochi a Cerquenizza; nel maggior ardore di questi frangienti, nella maggior strettezza et calamità, non solo de Segnani, ma insieme de tutti gl’altri confinanti di quelle marine et nel maggior fervore et dispositione mia di fare, prevalendomi delle congionture di tempi, che con altre tante lacrime et sangue ricomperassero il sangue et le lacrime di tanti poveri innocenti sudditi di Vostra serenità et di tante meschine case et famiglie, anzi villaggi et terre, per non dir città et provincie, impoverite dalle rapine d’Uscochi et dalla impietà di chi poco cristianamente per tanti anni, assordando le orecchie al giusto et all’honesto, gli l’ha voluto permettere, con ridurr’in punto questa Repubblica ben spesso, oltr’alla diminutione di datii per il disturbo delle navigatione, di romper anco la pace col Signor turco per le querele de mercanti suoi sudditi, tante volte spogliati de preciose merci et delle vite dentro a questo Golfo, godendo cred’io tutti li prencipi emuli della quiete, che gratie a Nostro signore Dio, la Serenità vostra gode, quando tutto il resto del mondo va sosopra, che le restasse quest’occasione di scemar l’erario suo con la spesa i 3 e 400.000 ducati all’anno et di 3.000 in procinto, quando a loro fusse tornato a proposito di moverli una guerra austriaca di sommo momento; quando dico per questa via furono sovvertite le machinationi et tronco il fillo di loro cattivi pensieri, comparve a Fiume il sudetto signor di Rabatta et a me ordine di Vostra serenità di ben intendere con lui et poco doppo lettere di esso Rabatta, che mi addimandava il passo di mare per li soldati alemani et altre militie et vittuaria, ch’egli espediva in Segna.
Io hebbi in prima facia da far buon fondamento sopra la venuta di quel cavaliero, per che lo vidi a continuar con buona dispositione, tutto che subito se le rappresentasse la cattura et poi la morte del signor Giorgio Chersainer signor di Chersano suo nepote, venuto con lui da Gratz, che fu preso et fatto morir in Capodistria, per essecutione del bando che precedentemente io le diedi d’ordine di Vostra serenità, per homicidii et altre iniquità commesse pur nell’Istria in compagnia d’Uscochi.
Però io mi disposi a credere che dalla sua fusse per sortir fine diverso da quello che haveriano havuto tante altre precedenti espeditioni de commissarii, onde non solo le concessi il transito di mare da Fiume a Segna, ma ricercato da lui di tener chi osservasse le attioni sue, le mandai il mio segretario in quella città, nella quale egli si fermò due mesi intieri, sino alla conclusione del negotio; il quale con quanto honore et riputatione di Vostra serenità sia stato ottimamente terminato, stimo superfluo di commemorarlo, essendo cosa recente et fresca nella memoria d’ogn’una di Vostre signorie eccellentissime et di natura tale et di tanta conseguenza, che dificilmente sarà posta in oblivione, per che in vero fu cosa grande il veder in Segna la morte di nove capi principalissimi de Uscochi et di quattro in Buccari, più grande che si risolvesse il commissario (dirò così) de disertar Segna con levarle 260 famiglie de Uscochi et mandarle nelle fortezze fra terra et di scacciare da quel governo il capitano Barbo, ministro et instrumento de tutti i mali, ma grandissima et sopra tutte le altre singolarissima et senza alcun essempio fu, ch’a persuasione mia, egli si inducesse a darmi nelle mani 18 Uscochi vivi, sudditi di Vostra serenità, che si trovavano in Segna et di bandire perpetuamente con publico proclama, con il nome et autorità di sua maestà cesarea et del serenissimo Ferdinando, tutti li altri sudditi pur della serenissima repubblica galeoti, scapoli et soldati, fuggiti non solo da Segna, ma dalli altri luochi ancora sottoposti a quel capitaniato, con gravissime pene et specialmente d’esser consignati in mano de publici rappresentanti.
Si questo accommodamento sia o non sia per durare si può discorrer assai, per che concorreno a persuader che debba continuare prima il rigore col quale il signor commissario ha proceduto nella riforma et tra le altre cose la consignatione de sudditi, onde restarà sempre un essempio formidabile, con pensiero che possi l’istesso succeder un’altra et più volte et quante porterà l’occasione; et poi l’utile che cava il serenissimo Ferdinando di 150.000 fiorini all’anno dalli datii di Fiume et Trieste, che per li impedimenti della navigatione eranno estinti affatto, per il che si può ragionevolmente credere che questo principe ad ogni suo potere, ch’è molto per il carico ch’egli ha dall’imperatore di tutte quelle marine, procurerà di conservare questa quiete, come per la parte loro lo procureranno li sudditi suoi, che ne sentono tanto benefitio et del commercio et dell’esser liberi da quelli mali che le soprastavano et che hanno ben spesso amaramente provati nel tempo delle turbolenze passate; ma quando il poco pensiero che se ne pigliano li ministri cesarei potesse fare, che havessi più forza la mala natura de Uscochi che li risetti dell’arciduca, onde tornassero a farsi sentire, seguirà almeno che li Arciducali, per il proprio loro interesse, non se ingeriranno più con essi et che per ciò li progressi loro riusciranno minori et più facili da reprimere; overo se se ne volessero impedire ampliando il negotio, che la Serenità vostra haverà sempre in pronto il rimedio che si è in quest’ultima occasione esperimentato, per che attrovandosi a quelle marine disdotto fra terre et castelli, cioè Segna et Ledenizze dell’imperatore come re d’Ungheria; Novi, Rirbir [?], Selze et Cirquenizza del conte Nicolò Frangipani; Buccari, Buccarizza, Grubonich, con il contado di Vinadol del signor conte de Sdrin, sottoposti alla medesima corona; il castello di Tersato del signor Gasparo Rob; Fiume, Castua, Volosca, Leprenaz, Lourana, Moschenizza et Rersez sotto il serenissimo Ferdinando; et di più nella giuriditione di Segna la fortezza di Scrisa [?] distrutta già dall’illustrissimo signor Almorò Thiepolo precessore mio di felice memoria et novamente restaurata dal cavalier Rabatta. Credo con sodisfattione di Vostra serenità, per che havendola io più volte supplicata a darmi ordine se dovevo, o col negotio o in altra maniera, impedirla, non hebbi mai risposta, non è da pensare che con l’essempio delle cose passate questi prencipi vorranno metter a rischio di certa ruina tanti luochi, per fomentar un numero di questi ladri; et spetialmente il signor conte di Sdrin, il quale oltre alli castelli che tiene a quelle marine, ha il contado sudetto del Vinodol, fertilissimo et abbondantissimo et molto facile da esser cosummato dalli soldati di Vostra serenità, il medesimo si può sperare che facino il conte Nicolò Fangipane et il signor Gasparo Rob per la parte loro, che patirebbe l’istessa disaventura; oltre che Segna istessa non è tanto sicura, che quando la Serenità vostra si risolvesse, non potesse, non dirò farla distruggere affatto per riguardo del confine de Turchi, ma affligger almeno in modo che bastasse una volta per sempre a metter fine a tante molestie; ma oltr’a tutte le sudette ragioni, si può anco sperare che li Uscochi habbino da star ritirati dal mare, con l’esperientia che se n’è veduta quando ammazzorno in Segna il sudetto signor Rabatta, che se ben hebbero ardore di commetter un delitto tanto grave, non si arischiorno però mai né per disperatione né per necessità de inferire pur un minimo danno a luochi et sudditi di Vostra serenità, anzi che assicurati con la ritentione et castigo di quelli 16, che ingannevolmente et contra la volontà del signor Daniel Franeol passorno con una barca per la Dalmatia sopra Sebenico a depredare nel paese turchesco, che in niuna maniera le saria mai permesso il navigare, si ha buon incontro da creder che ne vadino depponendo ogni pensiero.
Per il contrario si può anco andar discorrendo, che non havendo li Uscochi assegnamento alcuno stabile et certo col quale possono sostentarsi, hanno convenuto per vivere applicarsi al taglio di legne da fuoco nella Murlacca, col qual essercitio par ad essi d’esser molto decaduti dalla loro conditione et alle correrie di terra nelle provincie della Licca et Corbavia et nel territorio turchesco nel contado di Zara, dove, senza acquistar di quelli grassi bottini a qual erano avezzi in mare, ma solamente animali et qualche schiavo, prede di poco rilevo, ricevono ben spesso gagliardi incontri dalla cavallaria turchesca, con prigionia et morte di suoi et molte volte con perdita maggiore che non è l’acquisto, per il che vivono in grandissima disperatione. Però concorrendo io largamente nell’opinione che haveva il signor Rabatta, credo che sarà molto difficile et quasi impossibile che stiano in così ristretta osservanza, che non darà modo alli loro prencipi di poterli pagare et tratenere, così che habbiano occasione di scordarsi del tutto il mare; onde quando si potesse ridur l’imperatore et la dieta d’Ungheria a partito di vender o cambiar Segna, come facilmente ci si ridurebbe il serenissimo Ferdinando, che né riceve grandissimi travagli et grossa spesa, la quale per interresse di suoi Stati, non volendo la maestà cesarea saperne pur d’un quattrino, resta tutta sopra la sua borsa; io lodarei il comprarla ad ogni prezzo, che non sarebbe mai tanto, che non fusse maggior il benefitio d’assicurarsi per sempre da tanti disturbi et l’utile dell’uso di quelli boschi et il buon indrizzo che si potesse fare a quella marina d’una scala di cordovani, curami, cere, grani et di quantità grande de animali grossi et minuti per uso di questa città, che si cavarebbeno dalla Crovatia, dalla Licca, Corbavia et altri paesi turcheschi, con augumento di datii et meglioramento della populatione delle isole del Quarnaro, in gran parte dishabitate da che fu interrotto quell’antico commercio. Et quando al presente non vi fusse buona congiontura per trattare questo negotio, par a me (et sia detto con ogni debita riverentia) che non si dovrebbe a modo alcuno lasciar cader dalle mani quello di boschi, già promosso et così ben incaminato, dal quale oltre che con grand’avvantaggio si caverebbono abbondantemente albori, antenne et remi per galee grosse et sotili et ogni altra sorte di legnami per uso dell’arsenale, si darebbe modo a quelli prencipi di trattener li Uscochi et di fabricarle alloggiamenti nelli castelli di quella frontiera, li quali essendo già molti anni, per mancamento di denari, tenuti in malissimo stato et con poca difesa, restano ad arbitrio de Turchi, con interresse anco di Vostra serenità per termine di vicinanza. Et per levar il dubio che potesse haver alcuna dell’Eccellenze vostre, che questi boschi siano in sito contentioso con la maestà dell’imperatore et il Signor turco, l’affermo riverentemente che essi sono nella giurisditione indubitata dell’imperatore, 25 et più miglia dentro del confine serrato da Berloch, Otthoraz, Prosor et da diversi altri castelli et dalli fiumi Gasca [?], Mersnizza et Corana, come particolarmente si può sempre veder dal disegno et dalle lettere mie di 15 decembre, 6, 7 et 18 gennaro 1601, dalle quali si può anco intendere la qualità et quantità di boschi, la facilità delle strade per la condotta di legnami et un confidente avertimento del signor Rabatta di trattar il negotio con l’arciduca, che per li detti suoi rispetti lo concluderà con stabili et convenienti partiti et non con li ministri cesarei in particolare, perché il denaro sarebbe applicato ad ogn’altro bisogno più tosto che alle occorrenze di Segna et di quel confine.
Da questa conclusione, oltr’ad ogni altro benefitio, sentirà la Serenità vostra specialmente questo qual’è di sommo momento, che gli Uscochi resteriano divertiti dall’esser così frequenti nel stretto di Novegradi, dalla qual frequenza ricevendo li Turchi molti danni anco a Obrovazzo, Carino et nel contado di Zara (che quando li accidenti loro mutassero faccia, caderebbeno senza dubio sopra i sudditi di Vostra serenità) effettuarono, dopo il streppito de infinito richiami et querele, il loro antico disegno di fabricar il sito di Drazzevaz, che le servirebbe non solo per chiuder il passo a Uscochi, ma per prohibire a loro beneplacito il transito per di là alla fortezza di Novegradi, che tanto è dire per farsene paroni quando più le piacerà, essendo ella circondata da territorio turchesco et non havendo altra via libera da poter ricever vittuarie et soccorsi che quella del mare per il stretto, che le sarebbe affatto chiuso dalla fabrica sudetta.
Al qual proposito non sarà fuori d’occasione ch’io dica alcuna cosa sopra il stato et qualità della città di Segna, già che per il spacio di tanti anni, con le sue infammi attioni, ha dato materia così grande al mondo di ragionare. Ella adunque è situata al mare in un piano al capo d’una valle, che per longhezza di cinque et più miglia, fendendo li monti della Murlacca, piacevolmente inalciandosi mette capo l’altro capo nelle pianure di Crovatia, che dal fiume Gasca [?] sono separate dalla Licca. È di forma quadra, ma porge un lato angusto per maestro. Ha di circuito 800 passi in buonissima aria et con buone acque da una abbondante fontana che è nella piazza, è serrata di muraglia antica et vuota, ma però alta, ben mantenuta et fiancheggiata da molte torri postevi in proportionata distanza. Ha dentro il castello nell’istessa maniera fabricato in un angolo delle muraglie, in un rivelino del quale è difesa la porta unica che ha la città dalla parte di terra, non è terrapienata in altra parte che al mare, dove ha un’altra porta con poco et mal accommodato terreno, ch’in fretta vi fu gattato da Uscochi per dubio delle forze di Vostra serenità et per far piazza ad alcuni pezzi di artiglieria; il qual terreno aggravando sproportionatamente quella muraglia, che non ha scarpa, in qualità che possi regere tanto peso, l’ha di già apperta et sta per ruinarla. È custodita alle porte et al castello da soldati alemani et nel rimanente da Uscochi stipendiati, non con ronde per la muraglia, per che non vi è strada né coridore, ma con sentinelle ferme nelle torri che si chiamano ad ogni momento, custodia poco sicura quando li tempi sono torbidi et fortunevoli, poi che ben spesso vengono scalate le muraglie dalli schiavi che fuggono. È riputata da interressati et da chi forse non l’ha veduta per fortezza quasi inespugnabile, ma con poco fondamento, per che se ben da Turchi per via di terra non può esservi condotta artiglieria et resta molto ben sicura alle batterie di mano, può però esser battuta da mare et esservi sbarcata artiglieria et condotte in tanti luochi che le soprastano, avvenga che da quella faciata in poi, ch’è a marina, tutto il rimanente è circondato dalle coste di monti che formano la valle, una delle quali dalla parte d’Ostro Scirocco l’è così vicina, che potendosi quasi con un solo varco passar da essa su la muraglia, presero per espediente pochi anni sono, di farvi un torrazzo di forma quadra, ma senza fianco di sorte alcuna, il quale tengono presidiato de Tedeschi et ben fornito de artiglieria, tutta via anch’esso è sottoposto alla batteria d’altri siti che le soprastano et nondimeno è quanto di spirito et di buono che ha Segna, la quale si mantienne più tosto con la riputatione et con l’apparenza che con effetti et provedimenti reali, per che in particolare li soldati non hanno mai a tempo li loro stipendii et per ordinario si riducono a credito di 25 et 30 paghe et non vi tengono vittuaria per più di otto o 10 giorni, se ben sanno che con gran facilità et per terra et per mare, le possono esser chiuse le vie di soccorsi; disordini l’un et l’altro capitalissimi in tute le piazze, ma più in quelle, che essendo deboli et piene di oppositioni, tengono la loro sicurtà n’i petti di difensori. Ella è contado d’Ongheria posseduto già dalli conti Frangipan, ma hora è dell’imperatore, come re di quel regno. È governata da un capitano, che con quel titolo addimanda poi il generalato di Crovatia, egli paga, accresce et sminuisse li stipendii a soldati, muta li capitani nelli castelli di quella giurisditione, delibera et mette ad effetto le correrie contra Turchi, ma però riconosce per superiore il Generale di Crovatia, ha la decima di bottini et dei schiavi et in questo consisteno li suoi guadagni, per che dai prencipi non ha assegnamento per più di 80 fiorini al mese; ha quattro vaivodi, che tanto è dir capitani, sotto di sé, che sono Uscochi, assonti a quel grado con particolar elettione dell’imperatore, li quali solevano già esser molto stimati et obediti et oltr’alla cura et commando delle cose militari è anco magistrato di appellatione delle sentenze civili et criminali di giudici della città, quali sono doi, eletti d’anno in anno dal Consiglio di nobili, hora ridotti in pochi, ma ritengono tutta via molti antichi privilegi et specialmente di poter, con parte presa per il più di loro, conferir a chi le piace il titolo di nobiltà del regno d’Ongheria, cosa che stimano assai. Erano già richi con li traffichi della terra ferma, ch’ivi facevano scala al mare et per il taglio di boschi, ma si sono andati annichilando et per la dessolatione della Licca et più da 75 anni in qua doppo che Clissa fu tolta da Turchi al conte Pietro Crosich et gli Uscochi, che quivi habitavano, si ridussero in Segna, li quali continuando secondo il loro antico uso et ampliandovi l’essercicio infame delle rapine, la posero in così pessimo concetto presso ad ogn’uno et in tanta difidenza, che annullata ogni forma di negotio et di commertio esterno, impoverirono ad estrema miseria, non le restando altro di stabile, oltra le loro picciole et mal composte habitationi, che certe poche et quasi sterili vigne fuori delle mura. A poco a poco adunque andorno assuefacendosi a vivere solamente di furto et per questo particolare è necessario ch’io dica alla Serenità vostra, che gli Uscochi furon sempre di tre nature, cioè Murlachi sudditi turcheschi habitanti in quella città et questi sono il maggior numero, nativi originarii di Segna, che sono pochi et sudditi di Vostra serenità banditi et faliti di galee; ma tutti empii, fieri et inhumani. Questi corseggiando di quella maniera et con quelli richi bottini che facevano in mare, oltr’alle larghe contributioni de presenti alli ministri di prencipi, davano modo di vivere a tutti li ordini di persone della città, per alcuni che non potevano andar in corso, o per età o per altro impedimento, tenevano delle barche et le davano alla parte et nella divisione di bottini vacate le decime per le chiese et monasteri, che di vantaggio mantenevano li religiosi, quelle del capitano et li presenti per le corti, facevano poi tante portioni eguali a testa per testa, comprendendo le barche per doi et altri tenevano doi et tre servitori che andavano in corso a benefitio di paroni; onde avezzi tutti a questa manera di viver, si erano scordati d’ogn’altro essercicio. Li religiosi nelle piazze publiche essortavano gli Uscochi a frequentare le rubberie, per vigliachi et da poco erano tenuti da ogn’uno quelli che non vi andavano et più honorate et di maggior merito erano quelle famiglie, che per più discosta età havevano la loro origine da una continuata discendenza de impiccati, tagliati a pezzi, morti alla catena o in altra maniera andati di male nell’essercicio del corso; onde dificilmente in quelle chiese, tra infinite bandiere appese per memoria di questi loro gloriosi progenitori, si può legger l’inscrittione d’alcuno che sia mancato di buona morte; et sino le donne senza mai essercitar il fuso o l’ago, havevano cura di eccitar con parole, anco obrobiose, li mariti ad andar a rubbare, vivevano fino al loro ritorno in credenza a speranza di bottini, giuocando per le strade publiche a balla, a i zoni et al pandol, con gli animi così accomodati alle disaventure et morte di mariti, che havutane la nova piangevano per pochi hore et piangendo trattavano la conclusione d’altro matrimonio, così che ben spesso in un istesso giorno celebravano l’essequie d’un marito et le nozze d’un altro; per la qual cosa nella descrittione che fece il cavalier Rabatta, per che era scemato per più di doi terzi il numero degli Uscochi, ond’esse havevano qualche dificoltà a rimaritarsi, ritrovò fra 900 donne che erano 200 vedove di tre et quattro mariti l’una, una di 7 et una di 12, quasi tutti impiccati o in altra maniera malamente morti dal tempo dell’illustrissimo signor procurator Bembo mio precessore in qua. Et per che in somma anco i putti, nutriti di furto sino dal ventre delle madri, nati et allevati da ladri, non così presto sapevano caminare, che se ingegnavano di rubbare, si ha da concludere che con buona conscientia et per termine di ben degna giustitia, si haverebbe potuto appicciar il fuoco da ogni lato di Segna per arderla et consumarla, con quanti vi nacquero o vi habitorno mai, per che ritengo per certo ch’ella sia stata fabricata da assassini et forse ben da quelli che in tempo de romani più delli altri infestavano quelli mari et quelle provincie, che sia stata sempre da assassini habitata et che altri che assassini non vi possono habitar mai.
Per che causa et in che maniera si inducessero gli Uscochi ad amazzar il signor Rabatta, io reputo che da più parti et specialmente da mie lettere di quel tempo la Serenità vostra ne habbia havuta sufficiente raguaglio, ma non di meno, per che sono passati per il mondo varii discorsi sopra questa importante materia, non reputo fuori di proposito il dirleno hora alcuna cosa, con quelli fondamenti che con ogni diligentia ho procurato d’haverne. Molti hanno tenuto et tengono forsi tutta via, che vi sia stato non solo l’assenso ma anco l’ordine di prencipi, indotti a ciò (dicono) dalle attioni del signor Rabatta, che quanto furono di gusto [?] di servitio et di singolar riputatione della Serenità vostra, tanto ad essi riuscivano a sospetto di grandissima conseguenza et vanno confermandosi in quest’opinione per veder l’errore già per molti mesi discimulato et posto in oblivione. Et io dico in questo modo et credo de dir il vero, ch’il signor Rabatta fu espedito con commissione di dar sodisfattione a Vostra serenità, così che ella si fosse disposta a levar l’armi, gli incommodi et gli assedii da quali vedevano vicina la destruttione di loro luochi maritimi et c’egli comparve con pensiero d’ottenire il desiderio et il bisogno di suoi prencipi con sodisfar a Vostra serenità, con quel manco che fusse stato possibile, per che conoscendo egli che la sua espeditione era per semplice necessità et non per buona dispositione, teneva che quanto manco havesse operato, pur che ne fusse seguito l’effetto, tanto più si sarebbe portato inanti nel merito con suoi prencipi, ma per che il negotio le fu tenuto da me assai ristretto et datole da veder chiaramente, che bisognava operare molto chi voleva ridursi a quel termine ch’egli pretendeva, si vide in necessità di mutar proposito et di condescender ad ogni instantia mia, in così fatta maniera, che se la Serenità vostra havesse potuto mandar uno di suoi senatori ad essercitar quel carico, non so se si fusse risoluto a far più di quello ch’egli fece; tutta via è verissimo che mai disse, scrisse o operò cosa alcuna che prima non havesse l’assenso et ordine espresso del serenissimo Ferdinando, all’arbitrio del quale dalla maestà cesarea era stata rimessa la dispositione del negotio, per la qual causa di giorno in giorno passavano li corrieri con grandissima diligentia, di modo che havendo il signor Rabatta proceduto molto cauta et giustificatamente, se le sue attioni parvero troppo partiali di Vostra serenità, non è ragionevole il creder che l’arciduca se ne sia insuspettito, né meno venendo dalli ordini et volontà sua che l’imperatore et suoi ministri le imputassero al Rabatta, che ne era semplice essecutore, ma quando anco il sospetto fusse stato grande, vero et con reali fondamenti nell’uno et nell’altro prencipe et havessero tenuto il Rabatta per persona suspetta, corrotta et poco fedele, non haverebbono procurato, come fecero con tant’efficacia, di fermarlo in Segna nell’isstesso carico, doppo compiuta la riforma et doppo che sapevano che Vostra serenità l’haveva deliberato il dono della collana et che essi le havevano dato licentia di riceverla et se fussero capitati in risolutione di levarle la vita, per che non le mancavano opportunità di poterlo far ammazzare in una scaramuzza con Turchi, overo in alcuno di frequenti viaggi ch’egli faceva da luoco a luoco, è discorso a giudicio mio non molto fondato il tener che habbino assentita o ordinata la sua morte con tante circonstanze pregiudiciali alla riputatione loro, come fu il piantar l’artiglieria, far batteria, sforzo et così violente presa d’un loro castello per mano de sudditi, nella persona d’un proprio rappresentante di suprema auttorità et insieme di tagliar in pezzi tutti quelli della sua famiglia et altri stipendiati nella custodia dell’istesso castello, con tanto moto in una città di così pericoloso confine, in prospetiva et al conspetto di tutto il mondo et con altri termini di solennissima ribellione, non nego nondimeno che quando il signor Rabatta era amato, stimato et tenuto molto caro dal serenissimo Ferdinando, che lo addoperava nelli suoi più importanti affari, tanto non fusse odiato dalli ministri et in particolare dalli heretici, per esser stato il primo commissario alla riforma della religione et concedo anco che questi ministri per il loro cattivo affetto et per detrhaere alla riputatione di quel cavaliero, possano portar in longo la vendetta dell’eccesso et il castigo delli Uscochi che l’hanno commesso, se ben veramente si può creder che si diferiscon [?], per che facendo quelli prencipi gran conseguenza sopra la pratica et conoscenza che essi hanno dei posti et di siti del confine di Crovatia, vadano dissimulando fino a congiontura di poterli haver nelle mani, senza dubio che fugano dalla parte de Turchi.
È verissimo adunque che quelli scelerati, che già per le dimmostrationi ch’egli fece contra di loro odiavano mortalmente il signor Rabatta, portati dalla sola loro barbaria et temeraria ferocia si ridussero ad ammazzarlo in quella maniera, per liberar Giurizza Aiduch già prigione et altri non meno di lui scelerati, che a contemplatione mia dovevano il seguente giorno morire. Ma sia come si voglia la morte di quel signore di niente cristiana, sinciera et giusta et che si era già fatto così ben disposto, come si è veduto dalli effetti, tanto più importa, quanto che non resta speranza che in altra occorrenza ne possi esser espedito uno, che di gran longa habbia da aggionger alle sue perfettioni et che sapia, voglia o si arischi per quest’esempio di passare tant’oltre.
Mi resta di dir riverentemente alla Serenità vostra, che quanto più li prencipi d’Austria multiplicheranno le instanze per la distruttione di forti di San Marco e di Gliubba, tanto più reputo servitio publico che si debba conservarli, poiché non è dubio che in ogni tempo essi teniranno incommodata Segna; come all’incontro quello ch’io, di ordine della Serenità vostra, ho fabricato a San Pietro de Nembi, leverà per sempre a Uscochi l’opportunità di quel porto, così frequentato da vasselli in particolare d’inverno, nel quale solevano far tante prede, nelli quali forti ho posto in presidio tre capitani con 25 buonissimi fanti per cadauno, che bastavano di vantaggio per le cose ordinarie, ma quando da novo se intorbidasse il negotio sarà necessario rinforzarli con maggior numero, li quali capitani io credo che sarà bene cambiarli ogni cinque anni, come si osserva fare in tutte l’altre città et fortezze della Serenità vostra.
Il confine della Dalmatia con Turchi, tutto che grande, ristretto al mare, con diversi sanzachi, con Scale di mercantia et con traffichi et negotii de più sorti, è stato in tempo mio assa quieto et pacifico et se bene se ne può riferire la causa alli accidenti della guerra d’Ongheria et ad altri rispetti delle imperio othomano, per li quali li Turchi capiscono pure nella loro mente, per ordinario inragionevole et aspra, che hanno necessità di proceder più temperatamente, si deve nondimeno anco credere che questa quiete sia proceduta, per che abbracciando questa congiontura de tempi, io non ho mai permesso che alcuna insolenza sia passata senza il debito risentimento. Mi son anco astenuto per mio principal fine dal donare alli sanzachi et ad altri ministri, se ben alle volte io ho havuto ordine dalla Serenità vostra di spender buona quantità de denari, come fu nell’occasione della fabrica che principiorno a Rogovo [?] n’i confini di Zara Vecchia, che poi restò distrutta. L’istesso ho fatto in livante, mentre essercitavo il carico di Proveditor dell’armata, con li sanzachi di Morea, Angelocastro, Valona et Dulcigno riducendo a buon fine tutto ciò che mi occorse trattar con loro; havendo ottenuto in particolare la distruttione d’una galeota fabricata in Santa Maura per guardia di quelli mari. Et intorno a questi negotii con Turchi mi occorre dir riverentemente alla Serenità vostra, che essi si sono usati ad esser così inobedienti a loro superiori, che per molte esperientie che ne ho fatto, non giovano ponto li commandamenti della Porta, poi che hora non sono stimati, per la concorrenza che hanno di quelli del bassà generale dell’essercito in Ongeria, l’autorità del quale è suprema et molto temuta da Turchi, li quali si sono alle volte lasciati intender di non voler obedir quella senz’ordine di questo, da che si vede chiaramente che li commandamenti non giovano, ma nuoceno in questa parte, che costano molto danaro alla Serenità vostra.
Et già che questa materia mi ha dat’occasione di nominar il mio viaggio di Proveditor dell’armata, stimo d’esser in obligo di riferirne alla Serenità vostra alcuna cosa, non già con longhi discorsi, poiché quel carico antico è stato frequentato da tanti principalissimi soggetti, ch’io son sicuro che non sia forse alcuna di Vostre serenità eccellentissime, che o per propria esperienza o per diligente informatione, non habbia così ben distinta nella mente la quantità di porti, la qualità di mari, l’ordine delle navigationi, la necessità di viaggi, li rispetti di incontri con legni armati d’altri prencipi, quali si habbino da schivare et quali da seguire, dove combatterli et ritenerli et dove discimulando lasciarli andare, ch’io non potrei aggiongerle alcuna cosa che le fusse nova; ma brevemente le dirò che per li accidenti de Uscochi, la guardia di levante si era tanto diminuita, che ha perduto in gran parte quella riputatione, che haveva quando il Proveditor dell’armata scorreva quelli mari con 20 et 25 galee, il quale havea già molti anni convenuto navigare con cinque o sei solamente, com’ho fatt’io tutto il tempo di quel viaggio, ha causato ben spesso che molti vasselli ponentini et turcheschi si hanno fatto lecito di passar a piacer loro, anco per il canale di Corfù senz’un minimo rispetto, come seguì l’anno 1596, che ritrovandomi io in quel porto con sei sole galee, il bassà Cigla, capitano del mare del Signor turco, passò per di la con 28, che se io ne havessi havuto un numero conveniente, voglio creder che nel ritorno di Barbaria a Constantinopoli egli haverebbe tenuto altro camino.
Per la medesima causa li corsari si erano fatti insolentissimi, con molto danno di quelle isole et della navigatione, ma piacque al signor Dio di favorir la mia ottima intentione, così che con le mie poche conserve, tra fuste et galeote turchesche, feluche ponentine et altri legni tolti a corsari, ho fatto acquisto di 32 vasselli con morte di 4 in 500 levanti et libertà di più de 100 schiavi cristiani; onde l’ardire de corsari restò in maniera represso, che quando io posi fine a quel carico in Santa Maura et nella Prevesa, nidi antichi de ladri, non restò alcun fusto di mal affare; et seben doppo ne fabricorno diversi, hanno nondimeno ricevuto così mal’incontro quest’anno dall’illustrissimo signor Thodaro Balbi Proveditor dell’armata, soggetto di quella intelligenza et valore già in tante occasioni esperimentato et in particolar nel giorno della felice vittoria navale et dal clarissimo signor Lorenzo Venier Capitano in Golfo, altretanto sollecito quanto fruttuoso n’i servitii di Vostra serenità, che li corsari per longo tempone haveranno accerba memoria.
Laudarei però che restassero in Dalmatia all’obedientia del clarissimo signor Bernardo Venier Capitano in Golfo quattro galee, presso la sua, che accompagnate dalla prudenza et esquisita diligenza di Sua signoria clarissima saranno a bastanza per quel bisogno et doi o tre di più per supplire alle estraordinarie espeditioni che occorreno. Il clarissimo Capitano contra uscochi con le barche armate, per attender alla sua custodia et per applicarvi altretanta sollecitudine, quanta fece il clarissimo signor Giovan Battista Michiel, il quale in tempo di grandissime turbolenze, senza che vi fusse Generale, la essercitò con quel singolar servitio di Vostra serenità che è ben noto. Et tutto il resto delle galee, eccettuate le tre per la guardia di Candia, stessero all’obedienza dell’illustrissimo signor Proveditor dell’armata, affine che non solo si ritornasse nella prima riputatione quella importantissima guardia, ma anco si liberassero da certa morte una buona quantità de condennati, che restando le galee in Dalmatia, non ostante ogni cura che si le habbia, periscono di fredo; et che anco il clarissimo signor Governator de condennati stesse in Levante, il quale vi è tanto necessario quanto io ho esperimentato, poi che senza la persona del clarissimo signor Gerolamo Cornaro, che fu presso di me, molti importanti affari sarebbeno passati in sinistro, che havendoli commessi alla diligentia et valore di Sua signoria clarissima sono stati condotti a buon fine.
La Serenità vostra ha al presente la sua armata di 28 galee solamente, di queste ne sono sempre la mità in somma eccellenza et le altre in mediocre stato et questo non procede già per mancamento de sopracomiti, ma per che non è possibile rinforzar le seconde, se non si disarmano le prime, poi ch’io per longa esperientia ho veduto, che non vi è mezo o denaro alcuno che possi bastare, per levar dalle loro case chi voglia applicarsi al serviito del remo et quest’è un accidente che merita grandissima consideratione per servitio dell’armata; la quale si ha bisogno di regola, com’ha in effetto ha anco bisogno d’esser soccorsa et aggiutata dalla Serenità vostra et come si possa et si debba farlo, quando ne sarò ricercato dirò il parer mio libero et sinciero da ogni inerresse, poi che per gratia di Nostro Signore et per benignità della Serenità vostra tengo d’haver fatto fine a queste fatiche maritime, ma in ogni caso è necessario che si metti mano alla borsa, non essendo possibile che li stipendii che bastavano 300 anni prima, suppliscano alle spese presenti, dicendole in tanto che volendo far questa rifoma, è necessario che la ne dia il carico a doi o tre suoi principali senatori, che ne habbino perfetta cognitione, con autorità di poter risolver et terminare quello che giudicheriano a proposito, altrimenti non si venirà mai ad alcuna conclusione.
Non debbo anco restar di dir alla Serenità vostra, che non so veder per qual causa si lassi cader così malamente il partito de stortami per la casa dell’arsenale, che già 40 et più mesi io conclusi con l’eccellentissimo signor duca d’Atri et che fu lodato da lei, la qual havendomi commesso che dovessi procurar che ne fussero tagliati 200 o 300 pezzi per farne l’esperienza, quel signore li fece subito tagliare et condur alle marine di Bari et non solo mi ha ricercato più volte, che si mandino a pigliare, ma si è anco doluto di non haver havuto mai risposta, la quale non le ho potuto mai dare, per che se ben più volte ho supplicato la Serenità vostra che le piacesse o mandarli a levare overo commettermi ch’io licentiazzi il partito, non hebbi mai aviso della sua intentione; onde convengo da novo supplicarla di qualche risolutione, al meno per levar quel prencipe dal dubio che potesse havere ch’io habbia burlato.
Ma per partirmi di Levante et dall’armata già che proposi di fermarmi in poco, torno in Dalmatia nel territorio di Zara, dove già anni da Turchi confinanti fu fatta alcuna usurpatione, di che avisata ultimamente la Serenità vostra mi ordinò di trattarne con il sanzacco di Licca et con il bassà di Bossina, ma come non ho potuto mai essequir l’ordine, per ch’il bassà fu sempre lontano, occupato nella guerra d’Ongheria et il sanzacco, per l’istessa causa, hora assente et hora depposto dal carico, nel quale venivano altri, senza certezza della loro espeditione, di modo che per questo rispetto io non hebbi per buon espediente il trattar con loro, giudicando dover riuscir poco sicuro ciò che si fusse con essi concluso; così non volendo io restar di haverne al meno quella informatione che era necessaria, mandai il clarissimo signor Alessandro Zorzi Proveditor della cavallaria, gentil huomo pieno di spirito et di valore et che ha servito ottimamente la Serenità vostra in quel carico, a riconoscer le usurpationi, il quale con molta diligentia mi rapportò quanto con mie lettere riverentemente le rappresentai, di maniera che quel territorio di Zara è rimasto nel stato et esser di prima.
In quello di Sebenico non è successa in tempo mio novità alcuna, per l’accorta et appropriata maniera di trattare del clarissimo signor Cristoforo da Canal Conte et capitano di quella città, nel reggimento del quale non solamente non si è perduta alcun’anima a quelli confini, ma ne ha ricuperato diverse che molti anni prima erano fatte schiave; di questo gentil huomo mi son servito in diversi publici et importanti negotii et specialmente nel penetrare nelle sollevationi del regno della Bossina et Servia, in modo tale che ho havuta occasione di darne sicuri avisi alla Serenità vostra con grande sodisfattione mia, per haver con tanto chiari segni esperimentato questo soggetto per singolarissimo nel servitio di Vostra serenità.
Traù et Spalato tengono in pacifico possesso li territorii loro et il confine che le restò assignato doppo la pace col Signor turco; et così parimente Almissa, essendo anco del tutto rimesse le molestie che ben spesso sentivano già quelle rive et isole dalla uscita di caicchi di Narenta, che se ne stano ritirati. Ma non cessano et non cesseranno mai, a giudicio mio, li disturbi di Vostra serenità per le continue machinationi contra la fortezza di Clissa, che per la vicinità hanno il principal indrezzo nella città di Spalato, nella quale per questo et per ong’altro rispetto potrà la Serenità vostra riputarsi ben servita da suoi rappesentanti, ch’in quel governo immiteranno il clarissimo signor Andrea Renier, che vi fu Conte et capitanio, il quale ottimamente addoprandosi nel regimento di quelli populi, nell’abbondanza della città et nel maneggio di quell’importante Scala et lazareto, ha in particolare data così compita esperienza della virtù et prudentia sua nell’investigare et penetrre nelle sudette machinationi di Clissa, che mi par de dir poco quando sincieramente affermo alla Serenità vostra, che non si poteva desiderar più in negotio di tanto momento, nel quale bisogna ben da davero tenir buon occhio alle attioni d’i Dalmatini et de nobili in particolare, gente tanto inclinata alle novità, che se confinassero con altri che con Turchi, io non so ciò che si potesse sperare, o per dir meglio ciò che non si potesse dubitar di loro, per che così secolari come religiosi con vanni disegni, questi di mitre e capelli et quelli di contadi, cavalerie et altri fumi come si dice senz’arosti, vanno sempre machinando et chimerizando et lambicandosi il cervello tanto acciecati dall’ambitione, che non si accorgono che hor mai non hanno altro dai principi che pronte orecchie et buone parole, per che se ben ordinariamente offeriscono amplissimi assenti at inviti delli populi di Bossina, di Servia et d’Albania, con sigilli et sottoscrittioni et sacramenti solennizati, con la presenza di prelati loro nell’addunanza di principali capi delle famiglie, è già chiaro il mondo che questi sono castelli fabriccati in aria da cristiani sudditi turcheschi, per la brama che hanno di liberarsi in qualche maniera da quel giogo et tanto lontani dall’effetto, per molte cause a bastanza conosciute, quant’è poco ragionevole il creder che possano haver riuscita li disegni di surprender le fortezze et in particolare Clissa, per essersi già ben avertiti li Turchi delli humori che corrono, senza haver n’i trattati li medesimi Turchi che le custodiscono, la qual cosa quanto sia facile io non lo so, ma credo ben che se sarà poco dificile ad ogni prencipe cristiano l’insinuarsi all’improviso n’i Stati del Signor turco, le sarà difficilissimo senza dubio alcuno il fermarvisi et mantenervisi et più che a gl’altri a quelli che non vi hanno confine de Stati proprii et quelli che confinano andaranno sempre riservati nel moversi senza necessità di guerra, per dubio che facilmente le succeda di perder il suo invece d’acquistar l’altrui, per che adunque la Serenità vostra è così strettamente confinante alli sudetti regni et in particolare alla fortezza di Clissa, che veramente è la chiave et porta della Bossina, è necessario che li rappresentanti suoi, come ho detto, pongano grand’avertimento alle attioni de Dalmatini et per materia di grandissima importanza di Stato, vadano cauta et destramente nutrendo una naturale et non so se mi sia lecito de dire data da Dio, discordia et odio, che vive tra li nobeli et li popolani, per che come in altro tempo conferirebbe a molto maggiori rispetti, così al presente giova, com’io ho esperimentato per haver lume da una parte delli pensieri et andamenti dell’altra et per andar divertendo queste trattationi dai luochi di Vostra serenità, per non ricevervi qualche cattivo incontro; et dirò anco per riservar alla nostra repubblica di tentar a buona congiontura quel bene che al signor Dio piacesse di far riuscir un giorno di quelli paesi, li cristiani di quali si possono veramente riputare molto ben affetti, per le caparre che se ne sono et antica et modernamente havute et in particolare dalle richieste frequenti che fanno d’abbondonar la patria et case loro per ridursi a viver sotto l’ombra di Vostra serenità, come fece ultimamente il conte Thadia Casich [Cacich?] da Macarsca, persona principale, di grande dipendenza et molto stimata nella provincia della Craina, con offerta di condur quel numero di famiglie che le fusse stato ordinato, al qual conte per commissione della Serenità vostra io ho assegnato dalla Camera di Lesina ducati 200 di stipendio all’anno et per che li Turchi se ne erano accorti, per sottrarlo dal pericolo che le soprastava, diedi a lui et ad altri suoi compagni, conforme all’ordine di Vostra serenità, habitatione et terreni inculti sopra l’isola pur di Lesina, dove con le famiglie et animali loro io li ho così destramente fatti passare dalla terra ferma, che non si è sentito un minimo richiamo de Turchi; et hora servono nelle barche armate sotto la carica di esso conte Thadia.
Vivono parimente benissimo affetti alle cose di Vostra serenità li sudditi di signori Ragusei, come si è veduto dal tentativo che hanno fatto li lagustani di darsi a lei con la loro isola, per causa della maniera aspra et rigorosa che essi signori usano nel loro governo, per la quale dubitarei con fondamento, in occasione che armata cristiana si accostasse a quelle rive, come si diceva l’anno passato che doveva fare la spagnola per le cose de Albania, che tutti quelli popoli indiferentemente pieni di mala sodisfattione, anco nell’istessa città di Ragusi, si risolvessero a qualche strana novità, la quale sotto pretesto che Ragusei paghino tributo al Turco, fusse con titolo d’opera catolica allegramente abbracciata, a pregiudicio grande delli interressi di Vostra serenità.
Quando dunque si vede chiaramente, che li sudditi alieni per la diferenza di governi, invidiano l’esser di quelli di Vostra serenità io non debbo restare, sicuro di fare cosa conforme alla Sua santa intentione, di raccordarle riverentemente, che essendo le città et luochi della Dalmatia pieni di povertà per l’angustia di loro territori, perduti nelle passate guerre, per essersi diminuita grandemente la pesca delle sardelle et per essersi in gran parte disaviato il negotio della mercantia, riuscirebbe a gran consolatione di quelli popoli, quando le fusse proveduto de un giudice superiore che havesse a risiedere nella Provincia, dove potessero con facilità ricorrer per suffraggii et in appellatione delle cause civili et criminali, senza tanto incommodo et senza tanta spesa, quanta le conviene fare per venir in questa città, a quali interessi non potendo supplire li poveri convengono acquietarsi alli giudicii de prima instanza, ancor che conoscano d’haver ricevuto ingiusto torto.
Io ho esperimentato che ben spesso venivano ad appellarsi di sentenze che non importavano più di 3 o 4 ducati summa molto picciola, ma molto importante alla miseria loro, che se havessero convenuto ricorrer a Venetia sarebbeno stati in necessità di spender quattro volte più o restar di esperimentare le loro ragioni. L’istesso dico delle cause criminali, intorno alle quali in un numero di più de 35 Rettori delle provincie, comprese nella giurisditione del Generalato, io convengo dire de haver ritrovato diversi disordini, tutto che il sito del paese et li publici rispetti non lo comportino et che vi sia a sufficienza proveduto con tante leggi et ordini, che segnano in maniera al rappresentante la via della giusticia et la mente di Vostra serenità, che se non vuole egli non può fallare. Sarebbe però buonissimo espediente, che a consolatione di tutta la Dalmatia piacesse alla Serenità vostra di dar il giudicio delle appellationi delle sentenze civili et criminali di quelli Rettori alli clarissimi Conte, Capitano et Camerlengo di Zara, così come a Catharo già la diede la superiorità dell’Albania et nell’istessa maniera che al reggimento di Capodistria fu data di tutta quella provincia, se ben ella ne haveva molto minor bisogno per esser così vicina a questa città.
Et a questo proposito dell’Istria non debbo anco restar di dire, che come la Serenità vostra per rihabitarla et per che siano lavorati tanti terreni, che sono inculti, procura con molti privilegi et essentioni et anco con spesa publica di ridurvi novi habitanti, così una facilità ch’io ho scoperto di bandire, anco per picciola occasione, aliena una molto grande et forsi non creduta quantità di quelli sudditi, che discostandosi poco dalla patria loro, nella quale più tosto per pena dovrebbeno esser confinati, passano ad habitare fuori del confine dalla parte arciducale, dove sono ben veduti et trattenuti per uso della campagna. Io hebbi sempre pensiero di metter qualche compenso a quest’inconveniente, ma perché son stato impedito da più importanti affari, ho voluto al meno darne riverente conto alla Serenità vostra, essendo cosa immediatamente contraria all’intentione et servitio suo; com’anco io reputo che pregiudichi assai al stato di quella Provincia, che li vecchi habitanti habbino facoltà di potersi far scrivere nel numero delli novi.
Io ho havuto nel principio di questo Generalato, per l’occorrenze contra Uscochi, 30 insegne di fanteria fra Italiani, Corsi et Francesi, li quali alla giornata et da me stesso et per ordine di Vostra serenità andai riducendo a minor numero, cassando molti fatti inutili, non tanto dal rigor di fredi, quanto dal mal governo et poca carità di certi capitani et il rimanente doppo accommodato il negotio mandai in questa città, per li bisogni della terra ferma; et se ben nel maneggio di tanta militia ho havuto occasione d’avertir [?] molti inconvenienti, a quali son anco andato opportunamente provedendo, tacerò nondimeno gl’altri et dirò solamente, ch’io stimo sopra tutti importantissimo la conditione de diversi capitani mal nati e peggio allevati, senza esperientia, senza intelligentia et senza attitudine et tanto privi di beni di fortuna, che essendo il loro principal fine di scorticare li soldati per farsi qualche comodità, non è da maravegliarsi se le usano delle stranezze et delle inniquità, che come danno ad essi pessima sodisfattione così causano, per l’essempio et per la mala famma che ne esce, sempre maggiori dificoltà nel condurre nove genti a questo servitio et anco che gentil huomini et altri soggetti di qualità sprezzano hora di pareggiarsi a questi tali; et pur altre volte il carico di capitano de fanteria era così stimato et desierato, che mi raccordo et pur non son delli più vecchi di questo eccellentissimo Consiglio, d’haver veduto il conte Oratio dalla Massa capitano con 25 soldati a Budua et il conte Zuan Maria Martinengo, nobile nostro, con 30 nel castello di Candia; et questo inconveniente procede da noi stessi et dirò prima da me et poi da altri, per che per interresse di particolar servitù o d’altri intrinsichi rispetti togliano la protettione di persone indegne, ma voglia Iddio che possiamo o vogliamo persuaderci di astenersene, perché se ben da alcuni il soldo di Vostra serenità è riputato poco, egli è nondimeno più pronto et espedito di quello di qual si voglia altro prencipe et aggiungendosi che ella mantiene sempre militia et che chi entra una volta a questo servitio, portandosi bene, vien trattenuto sempre con gradi maggiori, non mancheranno soggetti di honore et di valore, che si applicheranno a suoi stipendii, così com’hora il negotio è ridotto in stato tale, che quando un huomo si conosce, non dirò continuamente buono, ma al meno con manco diffetti delli altri, rifiuta non solo il titolo di capitano, ma quello anco di governatore et pretende d’esser condotto come personaggio.
Ho anco havuto et conservato sempre un numero di 1.000 soldati tra Albanesi et Crovati sotto 13 insegne nelle barche armate, le quali barche come sono ottime per quel bisogno per tante esperientie fatte, così quella qualità di militia è singolar rimedio contra uscochi, per che essendo avezza al grebbano come gli uscochi, è d’altretanta velocità per seguitarli et cacciarli, quanta essi per fuggire, dico seguirli mentre fuggono per li scogli et isole, perché rare volte, per non dir mai, è occorso senza difficilissimi stratagemi di prender uscochi in mare et che non si siano sbarcati in terra et non si habbi convenuto sbarcarle dietro; et di queste nationi et in particolare de Albanesi la Serenità vostra ne haverà sempre in ogni occorrenza quanti le farà bisogno, ma lodarò sempre che siano pari di numero, perché non confacendosi tanto insieme, che possano mai esser unite, servono per contrapositione una all’insolenza dell’altra, per che ambe doi sono sregolate, tumultuarie et feroci et danno assai che fare a chi ne ha il carico, per che in particolare con difficoltà grande si riducono ad obedire a loro capi, tra quali oltr’ad alquanto valorosi capitani, io posso raccommandar alla Serenità vostra li Governatori Paulo Ghini d’Albanesi et Francesco Stusoevich [?] da Sebenico de Crovati, di grand’intelligenza et valore, come se ne sono vedute tante honorevoli esperientie.
Questi soldati ultimamente furono da me regolati di ordine della Serenità vostra et ridotti a numero di 550 in 15 barche, li quali ho consigante al clarissimo signor Giusto Antonio Belegno Capitano contra uscochi, insieme con li soldati italiani delle tre torri et li denari che mi ritrovavo per li loro pagamenti; et ho anco dati tutti li raccordi et accertimenti che ho giudicati necessarii a Sua signoria clarissima, la qual è di così soda et real intelligenza et di tanta prudentia, che la Serenità vostra può in quella et in qual si sia altra importante occasione promettersi ogni fruttuoso servitio.
Ultimamente per commissione di Vostra serenità ho rassegnato tutte le militie delli presidii di terra, cassati gli inutili et casalini et ridotte le compagnie al numero ordinario di buoni soldati et dati diversi ordini anco per il maneggio delle Camere et per altro, li quali se piacerà alla Serenità vostra di vedere et essendo di suo servitio aggiongervi la sua autorità, credo che sarà bene, altrimenti senz’alcun dubio ritorneranno li disordini di prima, quando quelli rappresentanti et ministri non voranno essequir la publica intentione, ma sopra il tutto è necessario che di qua siano espediti in tempo debito li denari per la militia, acciò che possi esser pagata di mese in mese et levata del tutto la mala introduttione di farlo de quattro in quattro, per che da tanta dilatatione segueno infiniti disordeni, a pregiuditio delle cose di Vostra serenità et anco di soldati, che essendo mantenuti da loro capitani con quattro gazette al giorno, non sono mai paroni di doi lire per comprarsi un paro di scarpe, onde se ne dogliono et gridano sino al cielo, poiché sanno che convenendo passar in tutte le cose per le mani di essi capitani, tutto che molti non le siano debitori, non possono mai veder il drito delli loro conti.
Rassegnai anco la cavallaria, la quale se ben è di 300 soldati, non è però in maggior numero di quello che comporta il bisogno della Dalmatia et le occorrenze di quel confine, solito in altro tempo d’esser molto inquieto et travagliato et tanto manco ella può bastare, quanto che doi notabili disordini, che ho ritrovato in essa, causano ch’in un bisogno la Serenità vostra havrebbe ben il numero de soldati, ma non le fattioni necessarie: l’uno è che vi sono molti inutili, per età fatti vecchi nel servitio, quali sono anco stati liberati dall’obligo di tenir cavalli; et l’altro che le compagnie de Levantini, che dovrebbeno esser mantenute, conforme alla volontà della Serenità vostra, sono anichilate in maniera che appena vi restano li capi, per il più vechi et poco buoni, onde sono state riempite di Crovati paesani, che per legge non potevano esser admessi se non uno per compagnia, che le serviva più tosto per guida et per riconoscer le strade che altrimenti; laudarei però che alli vecchi [?] benemeriti fusse assignato altro trattenimento, acciò la cavallaria non restasse occupata con tante piazze inutili.
In questo tempo ho havuto occasione di far diverse fabriche, per commissione di Vostra serenità et con tutto ch’io gli ne habbia dato con mie lettere riverente aviso, non debbo però restar di dirle anco al presente che feci fabricar il forte in San Pietro de Nembi, con una cisterna et ogni altra commodità, opera assai bella et riputata di gran spesa, ma che però non costa più di 1.500 ducati, spesi per la maggior parte nelle maistranze, havendo io supplito con condanne et altre applicationi senza publico interresse.
A Novegradi ho fatto far da novo tutti li tavolati per l’artiglieria et li corridori della muraglia. Nella fortezza di San Nicolò di Sebenico, al far le piazze dalla parte di terra et far di pietra li paglioli per l’artiglieria, che prima erano di legname et ogni tre o quattr’anni se inmarcivano et li coperti di tavole alli letti et ruote che stanno alla muraglia.
A Spalato tutti li corridori per le ronde dalla parte di terra et rifar doi gran pezzi di muraglia dall’alto al basso.
Et alla Brazza le prigioni per servitio della giustitia di quel reggimento.
Ho di più fatto fabricar al forte di Gliubba una cisterna, perché non essendovi acqua da berre, se non in lontananza di 3 o 4 miglia, pativano grandemente quelli soldati.
Per il medesimo rispetto ne ho fatto far un’altra nel forte di San Marco et allargar al rivelino, che pareva che per questo bisogno non fusse tanto capace.
Et in Almissa ho fatto restaurare un fianchetto in sito molto principale et necessario per sicurtà di quella fortezza con spesa di 300 ducati et fattolo terrapienare a quella comunità, che con grande sodisfattione sua se ne è contentata; et di più fatta fare la scalla di quel castello, senz’alcun interesse di Vostra serenità.
Ho parimente senza spesa publica fatto aggrandire l’hospital di soldati in Zara, far una porta di quella città al campo di San Luca verso mezo giorno, consigliata già da capi da guerra per servitio della fortezza, col suo corpo di guardia, aggrandir la piazza d’arme che è vicina alla Madonna del borgo et dar ordine che sia saleggiata la piazza della loggia et alcune strade publiche con denari de condanne fatte da me et deputati a questi servitii.
A Sebenico accommodato il palazzo, in modo ch’è fatta stanza molto honorevole per li rappresentanti suoi.
A Traù fatto allargar la piazza publica.
Et a Catharo applicato diverse condanne per terrapienare li doi torrioni, che sono sopra il porto, per far l’horologgio della piazza et per saleggiar li magazeni, per li rispetti del’artiglieria. Et tutto questo denaro, così di condanne, come di ragion di Vostra serenità, l’ho fatto consignar alli clarissimi Rettori et spender per camera, acciò che se ne possa sempre veder il conto.
Con altretanta diligentia et cura ho dispensato ogni altra sorte di denaro de Vostra serenità in tutte le occorrenze et specialmente in quella di spie, nelle quali se ben io hebbi libertà di spender 6.000 ducati et più se fusse stato bisogno, non ne ho però speso se non 80 et nondimeno ho havuto sempre quelli più sicuri avisi che si potevano desiderare; il medesimo ho fatto usare nella destributione de biscotti, de armizi et altre munitioni, di maniera ch’io sto consolatissimo, sapendo che non mi resta obligo di conscientia de haver trascurato l’avanzo d’un solo ducato alla Serenità vostra.
Nel corso di così longo tempo, ch’io son stato fuori in questi doi ultimi carichi, si sono cambiati quattro volte tutti li reggimenti et doi tutti li capi da Mar et sopracomiti, onde assendendo essi ad un numero di 3 in 400, s’io volessi, come sarebbe debito mio, rappresentar il loro merito et le loro virtù ad uno per uno, convenirei nominare la quarta parte del Maggior consiglio con dubio d’esser molto molesto a Vostra serenità et alle Signorie vostre eccellentissime, però havendo fatto particolar mentione di quelli con li quali ha havuto maneggio di più stretto et importante negotio, delli altri mi ristringo sopra questo universale, che mentr’io son stato Proveditor dell’armata, ho havuta con cadauna delle loro signorie clementissime buonissima corrispondenza et in tempo del Generalato la debita obedienza, in maniera che si com’io son rimasto appieno sodisfatto, così può la Serenità vostra assicurarsi che da tutti et cadauno di essi riceverà sempre fruttuosissimo servitio.
Resto parimenti appieno sodisfatto del signor colonnello Pietro conte Gabbutio per l’honorato et degno serviito ch’egli ha prestato alla Serenità vostra nel governo et sopraintendenza delle militie contra Uscochi, carico molto grave et pericoloso, essercitato da lui per il corso di 12 anni continui, nel quale affermo alla Serenità vostra che pochi altri possono appareggiarsi a lui né de diligenza né de intelligenza, né di fatiche, poi che mai si è schivato di avventurar la sua vita non solo come colonnello, ma come qual si sia privato soldato, in ogni più dificile et dubiosa occorrenza, onde fra gl’altri merita d’esser stimato et honorato.
È stato mio segretario nell’uno et nell’altro di sudetti doi viaggi messer Vettor Barbaro servitore de la Serenità vostra di quella soda intelligenza et valore nell’officio suo et nelle trattationi de negotii publici, che si è già conosciuto in le occorrenze nelle quali tante volte l’ho addoperato con li bassà, sanzachi et altri ministri turcheschi, per l’incendio et distruttione de vasselli di corso et per ruina di loro fabriche alli confini, in Ragusi et in altri luochi per accidenti de importanza di stato et finalmente in Segna per compimento della materia di Uscochi, nelle quali importantissime occasioni essendo egli con effetti reali et evidenti alla cognitione d’ogn’uno riuscito soggetto di gran senso et spirito nelli publici maneggi et di conferenza et frutto singolare alle cose di Vostra serenità, io stimo superfluo l’andar discorrendo hora particolarmente li meriti suoi, riputandoli tanto noti all’Eccellenze vostre, quanto ho potuto comprender col veder che più volte l’hanno giudicato degno d’esser publicamente lodato da quest’eccellentissimo Consiglio, ma dirò ben con la mia solita riverenza, che in estremo mi duole che quando appunto egli si ritrovava in Segna tra la rabbia de Uscochi et tante congiure che facevano di ammazzarlo, a sollecitar intrepidamente così grande benefitio della nostra repubblica et che doppo di hore non vi fu tagliato a pezzi col signor commissario Rabatta, non habbia potuto riuscir in due elettioni de ordinarii di cancelleria et che già carico d’anni tutti spesi in questa servitù, egli sia ancora nel numero delli gioveni estraordinari con gran caparra che la durezza invincibile della sua fortuna lo habbia da far rimanere unico et non prima sentito essempio di fatiche et virtù non riconosciuta, mentre in particolare ogn’anno conclude ch’il minimo di servitii pericoli a quali egli si è esposto et il più picciolo di servitii che ha prestato le ha meritato molto maggior commodo et honore et lo ha fatto degno d’esser consolato dalla benigna gratia di Vostre serenità et sollevato dalla afflitione nella quale egli si ritrova, assicurandola io riverentemente che la sarà da lui sempre ottima et perfettamente servita.
Sono 36 anni posso dir continui, poi che non vi è mai stata interpositione di otto o 10 mesi da un carico all’altro, ch’io servo la Serenità vostra, specialmente n’i maneggi della sua armata, nel corso del qual tempo, se ben per gratia di Nostro Signore Dio ho havuto occasione, con la preda di doi galee di Malta, di doi bertoni et di 16 feluche ponentine di leberar li mari di Candia da quelle molestie, che furono in gran parte origine delle calamità di Cipro, di tagliare a pezzi 30 fra galeote et fuste de corsari turcheschi, con gran sollevamento della navigatione et finalmente di porre compenso alli accidenti de Uscochi, consolare li sudditi della Dalmatia che per li tanti inreparabili danni che ricevevano da loro temevano di esser abbandonati dalla Serenità vostra, liberar il Golfo da tante così invechiate insidie, che havevano grandemente diminuito il commercio et li datii et sollevata lei da una spesa di 300 et più 1.000 ducati all’anno, che con poco frutto et meno riputatione publica si può dir che si gettavano in mare; et in somma liberata la repubblica da una importantissima guerra che in fine si sarebbe incontrata con la casa d’Austria, confesso nondimeno di haver fatto poco rispetto alla grandezza dell’obligo mio verso la patria, dalla benignità della quale spero et con ogni più humile et riverente affetto supplico, che poiché l’è piaciuto farmi gratia di ripatriare, per poter attender alla cura delle mie indispositioni, le piacia anco darmi modo di poterlo fare, per che havendo in così longo spacio di tempo et specialmente in questi ultimi sett’anni patito di quelli incommodi et di quelli disaggi, che non possono esser compresi et creduti da chi non ha qualche esperientia di questa stentatissima professione, io son ridotto in stato che ho gran bisogno di riposso, il quale dippendendo dal solo arbitrio et volontà della Serenità vostra et di quest’eccellentissimo Senato, voglio sperare di dover esser consolato et che mi darà tempo di ricuperare la mia sanità, poi che non le mancheranno occasioni, quando il mio debole ma molto riverente servitio gli riesca di sodisffattione, di farmi spender questo resto di vita in ogni occorrenza di questo serenissimo dominio.
Qui credevo di haver essequito l’obligo della presente mia relatione, ma accidente novamente occorso mi necessita d’aggiunger alla Serenità vostra et a Vostre signorie eccellentissime cosa, che son sicuro sarà da loro intesa con singolarissimo dispiacere. Questa matina alle colonne del palazzo in publica prospetiva alla cauta [?] ad hora della più frequente addunanza della nobiltà è stato ritrovato et letto un libello infammatorio contra la persona mia, nel quale si è veduto che li più modesti attributi datimi sono di ladro et assassino et indegno d’haver havuto il stendardo del Generalato di questa serenissima repubblica. Io convengo dir alla Serenità vostra che quest’operatione mi da pochissimo fastidio et preme poco al mio particolare interresse, havendo io nel corso di così longo et fedel servitio dato già compitissimo sazo dell’attioni et qualità mie, massime non essendo alcun dubio che queste inique calunnie non possono derrivar da altri che da alcuno di quelli, che nel carico importante ch’io ho essercitato, mi hanno astretto con loro deliti et mancamenti a castigarli. Ma ben confesso che come cittadino di questa repubblica mi penetra nelle viscere et passa sino all’anima per rispetto publico, mentre considero che se in questa città vostra si permetteranno carteli et pasquinate fatte contra publici rappresentanti, per haver essercitato realmente le commissioni sue et amministrato il debito della giustitia, conveniranno per l’avvenire quelli che haveranno carichi publici, per sottrarsi da queste malvagie persecutioni, lasciar che tutte le cose vadano sotto sopra, abbandonando il servitio di Dio, della patria et sottomettendo sé medesimi et la propria conscientia al beneplacito di chi non ha altro fine che di calpestare le leggi et buoni instituti della repubblica, senza che habbino punto de ardimento di apportar loro minimo disgusto, con che darle il debito castigo per qual si voglia se ben grande et importante causa.
Né voglio considerar alla somma sapientia di Vostra serenità et di vostre signorie eccellentissime i gran principii di male conseguenze che seguirano in questo governo, quando attione così indegna et offesa tanto grande, fatta alla dignità di tutta la repubblica, fusse dissimulata, per che già conosco esser ne gl’animi di cadauna dell’Eccellenze vostre fatta quella commottione che conviene a tanta sceleraggine; aspetterò adunque che gli eccellentissimi signori capi dell’eccellentissimo Consiglio di dieci alla maestà et autorità de quali incombe et conoscer et reprimer così grande iniquità, facino non dirò a condogli non tanto a condoglienza mia, quanto et molto più per publico interesse, quella dimostratione che giudicheranno espediente, non dirò al risarcimento dell’honor mio, il quale pretendo che per nissun accidenti possa ricever alcuna macchia, ma al bene et al servitio di questa serenissima repubblica. Gratie.

 

FILIPPO PASQUALIGO
Provveditore generale in Dalmazia,
con autorità di Provveditore generale da mar per il Golfo
13 febbraio 1613

Relatione di Filippo Pasqualigo procuratore di San Marco tornato di Provveditore generale in Dalmazia e Albania con autorità di Capitano generale da mar per tutto il Golfo
13 febbraio 1613

Serenissimo principe illustrissimi et eccellentissimi signori,
il stato della Dalmatia et delle altre provincie nel Golfo, li accidenti che le turbano, il numero de conditioni et affetti de sudditi et il modo de governarli sono particolari hormai così noti a Vostra serenità et a cadauna delle Signorie vostre eccellentissime, per le informationi de tanti suoi rappresentanti et per molte di esse le quali in fatto proprio li hano maneggiati, che per aventura ogni relatione che nell’avenire le ne possi esser fatta, poiché non sarà nova, havrà da riuscire più tosto tediosa che fruttuosa.
Però tanto più che altre volte io ne ho copiosamente riferito mi persuado essermi lecito, hora che ritorno la seconda volta da quel carrico, che dirne poco et de dilatarmi solamente nelli dani continui che si ricevono da due qualità de confinanti Turchi et Uscochi, egualmente arditi et tanto inquieti, che quasi è più ragionevole il persuadersi che debbano in quelle parti mancare le isole et li scogli, che sperare che siano per venire meno le insolenze, quando de gli uni quando de gl’altri et ben spesso di tutti in un medesimo tempo, come era apunto l’anno passato quando piacque alla Serenità vostra di rimandarmi, doppo 14 anni, a flutuare nel pelago di quelli inestricabili travagli.
Li accidenti de Uscochi, li quali come febre ettica vano dissecando l’erario di Vostra serenità di 200 et più 1.000 ducati anno per anno, come se ne potrà far il conto che per il spatio di così longo tempo viene ad esser una imensa suma, importano oltre a tanta spesa per la esterminatione de sudditi, per il disturbo della navigatione, per il deviamento del comercio, per la diminutione de datii et per che si dishabitano li territorii et le isole et si perde la obedientia delli habitanti, li quali intimoriti et inviliti prestano senza dubio più ossequio anco ad un solo Uscocco che alli publici rappresentanti, onde si può dire con verità che eccetto li luochi murati resti nel rimanente alla Serenità vostra poco altro segno di giuriditione et di patronia che il sentimento delli travagli et la necessità di ripararli disordini tutti di soma importanza, ma che però non sono imaginabilmente comparabili al grandissimo et iminente pericolo che ci venghi adosso una guerra turchesca per causa delli Uscochi, li quali transitando non pure per mare il Golfo et per li canali et porti, ma passando per li nostri territorii et ville, vano a depredare nel paese turchesco, huomeni et animali et ad imporrer et riscuoter tributi et riscatti dalli sudditi del Signor turco, li ministri del quale querelandosene continuamente, vano pretendendo et sia lecito dirlo non molto discosti dalla ragione, ch’esserne risarciti da quelli luochi da dove escono et tornano li ladri con le prede e tanto più che ben spesso sono accompagnati da alcuno di sudditi nostri inclinati naturalmente alle rapine et necessitati dalla disperatione et dalla povertà. Di qua per il più prendono origine le correrie de Turchi et si sentono perpetui disegni di construir fortezze pregiudicialissime al stretto di Novegradi et a Macarsca, che sariano già fatte, se non predominasse l’avaricia turchesca, che aborisce la spesa della fabrica et del presidio. Si vedono caicchi in Narenta et fuste con voce anco di arsenali a Castelnovo, che quando si stabilissero con titolo de usarli contra Uscochi, bisognerebbe poi accertarsi anco di rispettarli, come vasselli et guardie del re, con mille pessime conseguenze et con infinito pregiudicio della giurisditione di Vostra serenità in questo mare, tanto insidiata da tutte le parti, che ne pretendono fino gli Imperiali et Arciducali per due palmi di riva che vi hano sopra, né reputano per ciò disdicevole alla cesarea dignità di essercitarla con la navigatione di barche armate de infamissimi ladri; et sicuramente non credo inganarmi a tenere per certo che essi et altri principi ancora loro adherenti poco riguardando alla ragione et all’honesto nutriscano questa pietra di scandalo, non solo per dar occasione di grossa spesa alla Serenità vostra, ma anco per poter quando in qualche congiontura non le riesca di farlo con altri mezi et per altri interressi, tirarla a beneplacito loro per questa via alle armi con Turchi; et per ciò si fomentano le iniquità, non si castigano li delitti per gravi che siano, si tengono ministri et si mandano comissari corruttibili, che si arichiscono con donativi loro fatti delle prede et spoglie de mercanti et sudditi di Vostra serenità, che però interresati per questa via nelle ladrarie, non operano mai bene alcuno, ma riferiscono il falso et publicano iniquamente il torto esser dal conato nostro et che nascano tutti li disordini dall’impedire di progressi de Segnani contra infedeli et vano quanto più possono divulgando et stabilendo questa falsa opinione per la cristianità per eccitar cattivo concetto della santa mente et ottime attioni della Serenità vostra. Quale possi esser il rimedio di tanti mali, mentre si sa che se è difficile lo impedir in tempo di esta’ la uscita a gli Uscochi è impossibile farlo la invernata, lo ha insegnato la isperientia apunto già 12 o 13 anni che quelli principi per li danni quali in vendetta delle ingiurie che si ricevevano da Uscochi erano dalle nostre militie inferiti senza rispetto alcuno alli luochi et sudditi loro; et per li assedii che se le facevano da ogni parte per mare le indussero mediante l’espeditione del comissario Rabata di dare alla Serenità vostra molte sodisfattioni et maggiori di quante se ne siano mai havute in tempo alcuno, ma perché non è sempre congiontura per poter proceder come all’hora che ardevano le guerre di Ongheria et di Fiandra, resta solamente di andar schermendo et ragirando con spesa grande et con indignità publica che non riceve compenso alcuno dalla morte, che succede potersi dar qualche volta a 10 o 15 di quelli ladri, li quali, come le teste dell’Idra, vano sempre multiplicando et si redintegrano in un solito et quasi prefisso numero di 5 in 600; et così bisogna andar supportando fin a tanto che riesca per la tra via di ritrovar altro modo sopra che havendo io longamente pensato mentre ho maneggiato et mi son, posso dir, consumato in questo negotio, mi confermo in opinione che quando Vostra serenità non possa ottener la esclusione de Uscochi da Segna non ci possi esser il miglior ispediente che da interessarsi per mezo del dinaro con quelli prencipi et specialmente con l’arciduca Ferdinando di Graz, che è povero et non può regersi al peso delli pagamenti di tante militie che in diversi luochi per il confine di molte leghe con Turchi, conviene mantenere per difesa di proprii Stati. Et non mancherebbe il pretesto o de boschi o de datii che altre volte è stato proposto alla signoria vostra, o vero di suministrar le paghe al presidio di Segna, di che parimente è stato fatto qualche moto da ministri principali et per mio credere non eccederebbe li 15 o 20.000 ducati all’anno et medesimamente non mancheriano le apparenze di riputatione et anco di cautella per li rispetti con Turchi; et l’arciduca, sollevato da questo interresse, provederebbe che non succedesse accidente alcuno de disturbo, come anco li Segnani, per non restar privi del corrente stipendio, anzi dipendendo in certo modo dalla Serenità vostra, in tanto solamente resteriano pronti ad uscir per mare, in quanto a lei tornasse alcuna volta a proposito che lo facessero in buona congiontura per non lasciare che sormontasse di soverchio l’orgoglio turchesco alli suoi confini. Ma mentre bisogna tempo et desterità grande ad introdure et stabilire una simile trattatione è necessario non ralentar punto le provisioni et le armi per divertire li dani delli Uscochi fatti tanto arditi che per lo spatio di più di 80 anni che apportano disturbi a questa serenissima repubblica non si sono arischiati mai come ultimamente alla retentione et morte de publici rappresentanti et alla presa et esterminatione di una galea con tanta barbaria et crudeltà. La loro maggior oppositione sono le barche armate et meglio de Albanesi, che de Crovati, natione più indomita et inobediente; ma pure quando si conosca bene per altri rispetti haver anco di questi si fugga al possibile di assoldar sudditi, per che li luochi et territorii che non sono a bastanza populati, restano vuoti et privi di lavoratori et li confini spogliati della loro naturale et propria difesa; et questi tali quando occorre licentiarli dal servitio non volendo, avezzi ad altro modo di vivere, non tornar alli sudori della zappa, si applicano più tosto alla rapina et per il più con Uscochi, ma le diventano anco nimici. Sarà però bene, sempre che occorra, assoldare di questa militia, dare espresso ordine a chi ne haverà la cura che non siano pigliati sudditi per le cause suddette et per ch’è cosa chiara da conoscer che conducendosi gente forestiera si accresce il numero di chi habbia da difender le cose sue et si conservano li sudditi li quali, anco senza paga, per obligo di natura, sono tenuti di combater per il proprio interresse delle vitte, mogli, figlioli et sostanze loro. Insieme col presidio delle barche armate, stimarei ottima risolutione che oltre alla torre di San Zorzi, ultimamente fabricata sopra l’isola di Lesina, ne fussero aggionte doi altre della istessa qualità, l’una a Santo Arcangelo, luoco posto tra Sebenico et Traù, dove sogliono ridursi per tempi contrarii le navi et ogni qualità de vasselli che passano di Levante in Golfo et l’altra a Rovigno nell’Istria, luoco in ogni tempo tanto frequentato da ogni sorte de navilii, ch’è si può dire il porto di questa città et nel quale gli Uscochi hano inferiti tanti dani et tanti pregiudicii alla publica riputatione, con la construtione delle quali torri si venirebbe ad haver assicurata quasi di passo in passo la navigatione della Dalmatia et preparati, dirò così, alloggiamenti forti alli vasselli in proporcionata distanza di ordinario viaggio di giornata in giornata fin a Venetia, perché principiando da Curzola non vi è de distanza fin a Lesina più de 50 miglia, da Lesina a Santo Arcangelo 40, di la a Zara 70, da Zara a San Pietro di Nembi 50 et da quel porto a Rovigno altri 70 in circa. La fabrica di queste torri sarebbe di poca spesa et il loro presidio non giongerebbe di gran longa all’interresse di una sola barca armata, mentre suppliriano per il servitio di più di 10 et tanto di più per che quelli di Rovigno che altre volte hano supplicato Vostra serenità di esser in qualche modo assicurato da questi accidenti, hanno fatto anche ultimamente anco a me la medesima instanza et si sono offerti con una scrittura che mi hano presentata di contribuire alla opera della fabrica, li quali per quanto intendo si sono anco altre volte essibiti alla Serenità vostra di pagar un capitano che havesse da disciplinare le ordinanze di quella giurisdizione per schivare lo incomodo et la spesa che sentono di andar alle mostre a Dignano et potrà questo capitano servir anco alla custodia della torre, con avanzo dell’interresse di questa paga et tanto mi basterà per hora di haver acenato riservandomi maggiori particolari a quando piacerà alla Serenità vostra di ritrovar buono il mio riverente raccordo, ma in tanto non resterò di aggiungerle che se ben li accidenti di Transilvania et li pericoli che soprastano all’Ongheria, potriano persuaderli ministri di quelli prencipi ad usare qualche maggior diligenza per tener gli Uscochi in freno, per non provocarsi maggiori travagli, bisogna nondimeno dubitare che quella gente indomita et bestiale, che non si regge se non con libitio [?] della propria temerità, porta dalla disperatione, per li longhi incomodi dell’assedio, tanto più che se li vederà hora radoppiati per il novo ordine dato all’eccellentissimo signor Proveditor general Donado, di assediar anco Fiume et altri luochi arciducali et dalla confidentia che le da il vedersi passar impunito il delitto così enorme della galea, ha per prorompere a qualche segnalata insolenza, onde è necessario tener più che mai gli occhi apperti et specialmente alla custodia delle galee di mercantia, che sono di tanta importanza, le quali, come nel porto di Spalato, resterano sempre sicure, mentre sarano continuate le cure et diligenze che sono state usate dal clarissimo signor Marin Mudazzo, che era Conte di quella città, gentil huomo di valore et prudenza grande, così riceverano molta sicurezza nel rimanente del viaggio dalla construtione delle torri sudette, non bastando, specialmente quando per necessità de tempi convengono fermarsi in porti le galee et barche armate, che le assistono per tenerle compitamente assicurate dalle insidie da Uscochi, quali ben si sa che vano sempre machinando così tra di esse con gran speranza che non le debba riuscir molto difficile il loro acquisto et di potersi arichire in una sola volta.
Li Turchi naturalmente inquieti per la propria rapacità, per l’avantaggio che conoscono della loro fortuna et anco molte volte provocati dalli sudditi della Serenità vostra che sono per il più della medesima mala conditione riescono perpetuamente molesti alli suoi confini; onde ne deriva il disturbo, la spesa et il pericolo dell’augumento di disordini fin’ a termine di qualche grande comotione. Cattharo et Budua la passano assai quietamente et la vivacità de Perastini huomeni valorosi come alle volte da causa di qualche rissa, così serve anco per tener quelli Turchi in ufficio. Almissa per il sito, forte del suo picciolo territorio; et Spalato perché rispetto al transito delle mercantie a quella Scalla a li vicini di Clissa et di Salona interressati nelli guadagni di far scorta alle caravane et suministrar animali da vetura, sentono pochissimi disturbi. Traù per la positura del suo territorio et perché quelli castellani le fanno ben spesso sentire malissimi incontri, ne patisce manco di Sebenico, dove non ostante gli interressi de Turchi in molti traffichi con li nostri per via di Scardona, non mancano spesso delli travagli, ma più comportabile assai et molto più facili da esser accomodati che quelli del confine di Zara, che sono si può dire perpetui et per la qualità molto peggiore delli vicini, insolentissimi ladri, temerarii et inobedienti et per esser simile ad essi Halil Begh, sanzacco del paese, che participa delle depredationi et però le tiene mano et le va fomentando, prendono anco vigore dalli castelli et luochi sicuri che tengono alla fronte, mentre dal canto nostro con molto disvantaggio, v’è poco altro che piccioli villaggi, debolmente serrati, con masiere et spini; sarebbe ottimo rimedio ottener la depositione et castigo di alcuni di quelli ministri et del sanzacco specialmente, per che l’essempio gioverebbe per tener gli altri in termini più comportabili; ma essendo fatti inobedienti et quasi ribelli, negano di essequire gli ordini regii et già circa cinque volte sono stati eletti et mandati altri Sanzachi per scacciar questo a quali egli con le armi ha fatto resistenza et non ha voluto deponer il carrico lasciandoli publicamente intender che non lo cederebbe ne anco alla istessa persona del re, onde non si trova più chi si arischi di venirvi, per la qual causa se intese che con modo insolito per ordine della Porta l’anno passato a suon di trombetta sia stato publicato in Andrinopoli che chi voleva il sanzaccado di Licca andasse a darsi in nota, né vi fu alcuno che comparisce, seben per simili carrichi è grande la concorrenza et vi è sempre molta quantità di soggetti che pretendono et pure questo viene posto nel numero delli migliori sanzaccati. Però quando tali rispetti publici et che importano assai al medesimo re non bastino per far veder qualche risentimento notabile contra la persona di costui, non è da sperare che sia per seguire ad instantia de nostri interressi et tanto meno quanto che si è pur ultimamente isperimentato come poco habbiano giovato li efficacissimi comandamenti della Porta contra Mustaf Sefferbassich [?], che fece la depredatione de Grusci et Poglizza, tutto che sia masul [?] et riputato anco per latro contumace et fuoruscito et se ben era in persona nel serraglio in poter del bassà di Bossina presso al quale si ritrovava al’hora il Barbaro mio secretario, che non mancò d’ogni più caldo et vivo ufficio, acciò fussero contra di lui essequiti li comandamenti, li quali non solo quanto al castigo delli sudetti doi ma anco quanto alla restitutione delli animali della sudetta depredatione, sono tottalmente rimasti vuoti di effetto; onde la Serenità vostra ne è stata condenata nella spesa di capigi, de presenti et cose simili, senza frutto alcuno. Quando adunque con chiara esperientia si conosce che non giova la buona volontà del Signor turco et della Porta per sollevar punto li nostri travagli, resta per unico rimedio di non trallasciar mai l’ordinario uso de risarcirsi subito de dani che vengono riferiti et tenga per certo Vostra serenità che l’ordine prudentissimo quale mentre il Signor turco si ritrovava in Andrinopoli, con tanto essercito, che teniva tutto il mondo sospeso, le piacque darmi che non si facesse risarcimento della sudetta depredatione; ma fatto insolenti dopiamente li confinanti et avilliti et sgomentati in modo li nostri sudditi, li quali hano sentito il dano che spogliati delle sostanze senza speranza di ricuperarle, hano molti di essi abandonate le ville, con pregiudicio notabile del confine; sono così avezzi li medesimi Turchi alle represaglie con Imperiali et Arciducali, con quali non se intende violata la pace per qual si voglia correria se non se vi conducono le artiglierie, che riputando il medesimo anco dalla parte nostra, poco capitale fanno se le vengono restituiti li dani che inferiscono alli nostri et se seguono spogli de animali, n’i quali anco per ordinario sono più interressati Morlachi che Turchi, se ben essi più che li Morlachi participano delle prede et sono auttori d’ogni comotione et più che li risarcimenti sarano ingordi più facile sarà di accomodar le differentie, con la restitutione del soprapiù; stimo però riverentemente che per consolatione et salute di quella povera provincia da ogni parte tanto anguatiata, si debba con ogni spirito attender a questo con salda et constante risolutione, dalla quale oltre che seguirà la indennità de nostri, ne potrà anco al sicuro derivare una tale mortificatione de confinanti, che si risolvino di esser nell’avenire più quieti che non sono stati per il passato et che questo modo di proceder possi pregiudicare alli rispetti di Vostra serenità alla Porta di Costantinopoli, io non posso persuadermilo, mentre le provocationi nascono da questi che sono contumaci alla medesima Porta et conosciuti senza dubio alcuno per insolenti et temerarii, da non poter esser supportati. Alli Turchi et Morlachi confinanti, quando non se ingrossano con altri di paese più, fra terra può sufficientemente resistere la cavallaria deputata a Zara, ch’è di 200 cavalli et gli huomini delle ville del territorio, che possono esser intorno a 800, assai buoni et quanto più si possa dir pronti contra Turchi, ma sentirei che queste forze fussero disposte in qualche miglior maniera che non sono al presente, per che veramente mentre la cavallaria si ferma in habitatione nella città, in occasione di darsi all’arma, non può per il spatio di otto, 10 et più miglia gionger a tempo di impedire li dani et ricuperar le prede et se pure affrettando il camino a tutta briglia potesse arrivar opportunamente, sariano così affatticati li soldati et stanchi li cavalli che non potriano porsi a combatter se non con disavantaggio grande et con pericolo manifesto di ricever qualche notabile affronto; ma quello che anco mi porta et che rende più difficile la difesa de nostri sudditi, è che li Turchi ricevono tanta comodità di tempo, che prima che la nostra cavallaria gionga dove hano comesso il delitto essi si riducono con le prede in sicuro. Sentirei però che nella villa di Grusci, sette miglia in circa lontana da Zara, ch’è la punta et la frontiera del confine, che assicura la maggior parte del territorio che le sta da dietro et da dove si può prontamente in breve distanza soccorrer ad altre parti, si facesse la residenza della cavallaria et delli clarissimi Proveditori di essa, perché senza dubio li Turchi, li quali conoscono et si servono del presente nostro disavantaggio, andarebbero molto più riservati quando credessero così pronta et vicina la resistenza; et con la confidentia di questo presidio li terreni fertilissimi che sono dietro a quella parte verso Nona sarebbono molto meglio habitati et coltivati; et per che le ville di Rasanze [?] et di Possedaria che guardano sopra il canale della Morlacca, la prima fuori et la seconda dentro del stretto di Novegradi et importano somamente per conservar in quella parte la giurisditione et il confine a Vostra serenità et per tener libero il transito per terra alla fortezza di Novegradi, convengono da le stesse mantenersi et difendersi con soli 20 cavalli che siano a Possedaria et con li huomini di una barca armata delli medesimi habitanti, onde se ne sta con molto dano et continua afflittione et si può dire disperatione di quelle poche et povere genti, non potendo esser soccorse dalla cavallaria, per esser 24 miglia lontani da Zara, sarebbe molto a proposito di habitar una villa nominata Radovino posta nel mezo fra Grusci et Possedaria, sopra una ellevatura di terreno et di sasso in sito di sé stesso tanto sicuro che potria con solo numero di 50 habitanti, non che con una guardia de cavalli, resister ad ogni incursione; et quando questa fusse habitata, servirebbe anco molto meglio di Grusci per stanza della cavallaria et del Proveditore, overo per parte di essa, restando l’altra a Grusci, per che in ogni modo non le sarebbe impedito il potersi unire in ogni bisogno, per che si vedono l’uno con l’altro questi due luochi mediante una campagna molto facile et piana; et di qua in ogni occorrenza la si potria senza difficoltà socorrer a Rasanze et Possedaria et dalli habitanti di questo luoco sariano lavorati terreni ottimi et spatiosi, che con un amplissimo bosco, abandonati da nostri son ben spesso usati da Turchi de Islan et di Polissane, che vi tagliano legnami et segano li fieni con deffraudo della giurisditione di Vostra serenità, la quale altre volte è stata supplicata da persone particolari et specialmente di Zara, che si offerivano di condur famiglie morlache ad habitar questo luoco et pare a me che più tosto per competenza de più di uno che si era applicato a questo negotio che per altro, egli resti tutta via inresoluto, perché veramente non vedo che vi concorri alcun contrario, non trattandosi di fare novità di fabriche o di altro, essendo il sito per sé stesso forte et che riceve l’ascesa et l’ingresso da una sola et molto angusta parte; è in buon aere, tiene una fontana abondante di acqua perfettissima et all’intorno una campagna spaciosa di ottimo terreno. Gioverebbe anco la restauratione di quella villa, con l’assistenza della cavallaria mirabilmente per conservar il confine, il quale non havendo quella custodia che sarebbe necesaria viene a poco a poco usurpato et si vede espressamente che quasi è maggior la perdita che ha fatto Vostra serenità in tempo di pace che in occupatione di guerra, massime verso Possedaria, che con tutto che le era restata una parte del territorio sono andati li Turchi de Islan di giorno in giorno serpendo in modo che si habbino cacciati quelli sudditi con li piedi in acqua, non essendoli rimasto altro che quel poco contorno della villa et la strada che transita a Novigradi.
Quanto alli presidii ordinarii della Dalmatia sono, secondo la limitatione già fatta, conformi al bisogno di cadaun luoco, fuori che in Zara, dove il numero di 400 soli fanti non supplisce alle fattioni et occorrenze di quella fortezza. Ho più volte usato ogni diligentia per che fussero riempite le compagnie, per cadauna delle quali, per morte et per falliti, mancano quasi sempre 10 o 15 soldati et se vi è affaticato assai anco il clarissimo signor Luca Pesaro, Capitano gentilhuomo, di gran spirito, prudente et molto diligente nel publico servitio, ma li accidenti di Lombardia hano dato ragionevole pretesto et legitima scusa alli capitani di non haver potuto ritrovar soldati. Sarà necessario di pensar opportunamente al rimedio et insieme riparar alla ruina iminente di alcuna parte delle muraglie verso il mare; far una buona munitione di terreno per supplir alle occorrenze in capo di bisogno, non ve ne essendo né dentro né fuori in buona lontananza; accomodar le cisterne, che per il più spandono et lasciano la città, nel tempo di estate, in grandissima necessità di acqua; et insoma andar preparando, mentre si vive in pace, li bisogni della guerra, essendo la fortezza di Zara tanto importante quanto quella di Corfù alla Serenità vostra, alla Italia et si può a tutta la cristianità.
La cavallaria da pochi mesi in qua ha ricevuto molto miglioramento, per haver io ad ogni richiesta suministrato a quel clarissimo signor Proveditore li migliori soldati delle barche armate, per rimetter in cambio di altri inutili. Ci sono quattro compagnie estraordinarie, una de Corsi et tre de Italiani, poste in presidio di Veglia, Arbe et Ossero, luochi mal populati et esposti alle insolentie de Uscochi. Et in 57 barche armate, nell’ultima rassegna che feci il mese di novembre, ho lasciato 1.200 Albanesi et altretanti Crovati, buona gente et sana, quale però intendo che per li acutissimi fredi ha patito assai; et quando piacia al signor Dio dar alla Serenità vostra oportunità che si habbino da regolare, bisognerà prender risolutione, specialmente delli Crovati, acciò che mentre non vogliono questi tali ritornar alli loro primi et naturali essercitii della zappa campagna, non vadano sbandati vivendo di rappina et pregiudicando alla quiete de sudditi et al servitio di Vostra serenità.
Li signori sopracomiti hano supplito pienamente al loro carrico et specialmente nel tener in freno le loro genti, di modo che non ci sono state querele de sudditi, né io ho havuto da travagliare per questa causa, con molta mia sodisfattione et laude loro. Si affaticò assai nel governo di esse galee et delle barche armate il clarissimo signor Francesco Molin, Capitano in Golfo, come fece anco indefessamente et con grande applicatione di animo in tutte le altre importanti occorrenze del suo carrico, con singolar giovamento dell’interressi di Vostra serenità, così che per longo tempo resterà nell’armata un vivo essempio del valore et dell’integrità di Sua signoria illustrissima. Il medesimo viene essequito pienamente dal clarissimo signor Antonio Civran, suo successore, di modo che abastanza non si può lodare la sua prudentia et la sua intelligentia nel ministerio che egli essercita. Altretanto potrei referire del clarissimo signor Alessandro Giustinian Governator de condenati, quando Sua signoria illustrissima non si havesse da se stesso in altre occasioni con effusione del proprio sangue dimostrato fruttuoso servitore della Signoria Vostra. Di tutti li clarissimi signori Rettori delle provincie dirò solamente che da ogn’uno mi è stata prestata ogni debita obedientia, come a ministro di Vostra serenità et se alle volte alcuno se ne è mostrato un poco difficile ho saputo con ogni più destra maniera disponerlo ad essequire gli ordini miei, specialmente per sollevatione de sudditi oppressi.
Al servitio delli clarissimi capi da mar che sono in Golfo non si attrova alcun secretario, credo sia il medesimo di quelli di Levante et quando per negotii publici mandai il Barbaro, mio secretario, in Bossina, non ci essendo alcuno dell’ordine sudetto di chi io havessi potuto servirmi in tempo della sua absentia, convenii io stesso travagliare per haver il debito riguardo alle cose publiche. Servono in luoco loro a questo ministerio con poca dignità et manco servitio publico Schiavoni, Greci et altre conditioni di persone in tutto escluse dal poter maneggiare li negotii di Vostra serenità. È stato poco fa deliberato et così si osserva, di non lasciar passare scritture secrete per mano d’altri che delli secretari del Senato et pure per il mancamento sudetto le medesime scritture che qui non si confidano ne anco alli ordinarii della cancelleria tanto interressati nelle cose nostre capitano poi fuori nelle mani de huomini non approbati et suspetti. Ho stimato mio debito di rappresentar il disordine et di eccitar riverentemente quelli delle Signorie vostre eccellentissime a quali spetta a riponer questa tra le materie importantissime, alle quali tengono applicato il loro animo, per farne provisione tale che et li giovani della cancelleria siano necesitati di andar fuori et li capi da mar a tenerli et trattenerli come conviene, così che il servitio publico sortisca il suo debito compimento et insieme per che quelli di quest’ordine che devono poi servire in questo eccellentissimo luoco prendano esperientia nelle cose di mare, che non sono né le ultime né le manco necessarie nell’importanza di questo governo; et crederei, se mi è lecito dirlo con la debita riverenza, che niun altro ispediente fusse più proprio ch’il prohibire con strettissima legge che quelli che saranno deputati non possano, se sarano estraordinarii, esser ballottati ordinarii, né li ordinarii secretarii se non haveriano fatto al meno un intiero viaggio con un capo da mar, apunto come suole la Religione di Malta nella distributione delle comende a cavallieri, non approbando alcuno per capace del benefitio se prima non ha fatto due caravane con le loro galee; ma si come tengo che questo sarebbe l’unico rimedio a così importante disordine, così dubiterei di poco giovamento quando si continuasse con tanta facilità a dispensare per gratia il tempo et li requisiti delle loro ballottationi, senza che se ne facino habili con lo adempimento del loro obligo.
Per cosa sopra tutte importantissima debbo rappresentar anco alla Serenità vostra l’afflittione de suoi sudditi vessati et dilaniati, non solo da uscochi et da inquieti confinanti, ma sia lecito dirlo perché è la verità, da molti di quelli che sono mandati a governarli; io per quanto mi è stato permesso dalla multiplicità et assiduità de altri affari, li ho suffragati con tanta prontezza che anco quando mi ritrovavo nel letto aggravato dalle mie indispositioni, non restai di ascoltarli et consolarli et posso dire che nella Dalmatia in questo tempo siano passate le cose assai temperatamente; ma nell’Istria sono multiplicati in maniera li disordini che penso non doversi punto differire di approntarle rimedio più efficace et potente delli passati, che non hano giovato per che la povera provincia, più che mai come corpo moribondo et quasi privo di spirito, languendo si può dir sotto a gli occhi del suo prencipe, che può et tiene obligo di sovenirle, implora il suo aiuto. Hano introdotto li Rettori, non so da quanto tempo in qua, di far precetti penali in cause civili et per la sodisfattione di debiti particolari, li primi comandamenti sono pecuniari, che passano graduatamente fino alle 50 lire et devengono poi a cominatione di bando, si estorqueno le pene pecuniarie et restano anco banditi li debitori, destrutte et dessolate le loro poverissime et miserabilissime famiglie et Vostra serenità priva senza causa alcuna di quelli sudditi che va conducendo con tanto dispendio per populare la Provincia et in fine li creditori non restano ne anco sodisfatti di loro crediti et pure se anco non ci fussero tanti ordini et leggi, lo detta la ragione che in cause civili non si proveda se non civilmente et nell’essattione di debiti di particolari non si devenga ad altri termini che de intromissione de beni et di prigionia de debitori. Medesimamente usano di fare proclami pieni di tante inventioni, che non pur convengono li sudditi addimandar licentia se vogliono entrar et uscir dalle terre, dalle loro barche, dalle proprie case, vender et comprar pur un pomo et ogni altra minima cosa, ma si può dire non possono aprir la bocca o pigliar fiato; chi transgredisse in alcuna parte viene querelato da cavallieri et officiali, che per ciò vano sempre spiando et le condane sono pecuniarie et con queste sono espillati et consumati li populi in grossa maniera. A tutti questi mali si aggionge la regalia delle legne, delli medesimi Rettori, delle quali aggravando li comuni di peso maggiore di quello che è ordinato dalle leggi et dalla consuetudine, si sentono querele et lamentationi grandissime et quello che anco importa causano la destruttione di boschi. Potrei anco a questo passo dire alcuna cosa de cancellieri, per rappresentar alla Serenità vostra la rapacità loro et quanto tengano afflitti quei miseri con ingordi et indebiti pagamenti, ma ciò riservo di fare con la provisione che riverentemente raccorderò per estirpare in quanto si può queste arpie, che non hano altro pensiero che di arichire col sangue di quelle infelici genti. Ho formati sopra alcuni di questi particolari certi ordini che se piacerà alla Serenità vostra aprobarli et farli esseguire, potrano apportar giovamento nell’avenire, ma quanto alle cose passate, all’abbuso dei proclami et altri disordini acenati, bisognerà pigliar altre information et ne raccorderò il modo, perché se ben l’eccellentissimo signor Proveditor general Donado, conoscendo con la sua singolar prudenza l’importanza del bisogno, subito gionto nell’Istria ha mandato a publicar da per tutto un proclama con il quale ha invitato ogn’uno che si senta aggravato da chi si voglia a ricorrer da Sua signoria eccellentissima, che le aministrerà primaria giusticia, convengo nondimeno dubitare che essendo questi poverissimi, per non potersi sostenere nelle difficoltà et spese del viaggio habbino da restare per il più da ricorrer a così utile suffraggio. Intanto la Serenità vostra condoni il tedio che le ho apportato con questa naratione alla qualità della materia che io stimo tanto grave, quanto che concerne la giusta consolatione de sudditi che habitano paese poco felice rispetto all’aria et ad altre non buone conditioni et che confinano strettamente con stato di prencipe alieno, dove li populi godono molte libertà et sono veramente meglio trattati.
È stato appresso di me per comissione di Vostra serenità il signor Oratio dal Monte, cavalliero di quelle conditioni che sono ben note, il valor et isperientia del quale è riuscita molto fruttuosa nel servitio publico. Vi è stato anco il clarissimo signor Andrea Foscarini, dell’illustrissimo signor Giovan Battista, per apprender li termini della proffessione del mare, il quale si è fatto conoscer per gentil huomo virtuoso di gran spirito et di ottimi costumi che non declinerà punto dalle vestigie de suoi prestantissimi progenitori.
Messer Vettor Barbaro, mio secretario ben conosciuto dalle Eccellenze vostre per longa isperientia che si è fatta di lui in molti importanti affari in terra et in mare, in varie trattationi, di Turchi et de Uscochi, ha supportato con me li patimenti et disaggi insuppotarbili et passò gran pericolo della vita nel viaggio di Bossina, dove le furono tese molte insidie da soldati et altri Turchi interressati nelle comotioni di confini di Zara et non di meno ha essequito intieramente le sue comissioni, tenendomi avisato con buoni fondamenti di molti importanti particolari spettanti al servitio della Serenità vostra.
Di me non debbo dir altro se non che in questo ministerio ho sempre constantemente procurato il servitio di Vostra serenità in tutte le cose, senza alcun altro riguardo, come ho fatto, per tutto il corso della mia vita, che son andato continuamente fluttuando in tanti carrichi travagliosissimi et difficilissimi con piena sodisfattione della mia coscientia et di quel debito ch’è proprio di cristiano et di buon cittadino di questa Patria. Gratie.
Filippo Pasqualigo procurator ritornato de Proveditor general in Dalmatia et Albania.