19 marzo| 1604 Marco Antonio Erizzo
Dispaccio del 20 giugno| 1605|
N. (senza numero)
Serenissimo Principe,
In risposta delle lettere della Serenità vostra di 4 del presente ricevute solamente hieri le dico riverentemente che in tutto quello che potrà venir da me non mancherò d’esseguir quel tanto che mi commette in proprosito de novi habitanti, ma perché nelle medesime essa dice che per quanto è informata questa gente è inquietata et che le vien promesso sotto varii pretesti molte dificoltà et posti diversi impedimenti, da che nasce che quelli che incorreriano all’habitatione et coltivatione dell’Istria non vengono et che molte famiglie che havevano inclinatione et si erano risolute di venirvi, atterrite da chi procura di deviar simili progressi sono passate in aliena giurisditione. Io son sforzato per debito mio et per il carico che la Sublimità vostra si è degnata darmi dirle con la medesima riverenza che et per la prattica et per la diligenza che ho fatta et usata in diverse volte che ho cavalcato per la provincia in simili occasioni per intender ben questo negocio, nel quale ho posto ogni mio spirito, come può saper lei da tante lettere che nel mio reggimento le ho scritto in favor di questi tali novi habitanti et particolarmente quando quelli da Rovigno mi fecero andare con loro per veder li terreni che li fratelli Vendramini si havevano fatto conceder dall’illustrissimi miei precessori, nel qual viaggio stetti sette giorni con discomodo grandissimo et con pericolo della mia vita, essendomi venuti alcuni tumori dal cavalcare, che mi tennero alquanti giorni in letto et anco per quello che ho voluto intendere et penetrare dopo, stimando anch’io questa materia importantissima; trovo che dal non venire in Istria quelli che vi concorreriano et l’esser andati in aliena giurisditione le famiglie che si erano risolute di venirvi et partite anco delle già venute nasce non da quanto è stato riferito alla Serenità vostra, ma da quelli che si pigliano il carico di condur simil gente ben sotto pretesto di servir lei, per haver quei favori, quelle commodità et quelle recognitioni che liberalmente loro concede, ma in effetto con altri fini che tendono al particolar interesse loro; perché menando questi tali tre o quattro capi di famiglia seco nella provintia avanti che conducano la gente gli mostrano luoghi coltivati con vigne et con olivari, dandogli ad intendere che quelli sono suoi et che li metteranno sopra essi, come in effetto fanno et come in specie fecero li fratelli Vendramini nel territorio di Rovigno, dove con l’occhio proprio viddi quanto, come ho detto, li poveri rovignesi mi fecero andar sopra loco che li terreni sopra quali havevano messe le quattro famiglie che furono chiamate in Istria dall’illustrissimo Donado all’hora Provveditore generale in Dalmatia che con sue lettere me le inviò sono quasi tutti coltivati con vigne et olivi già cinquantina d’anni lavorati di ragion propria delle chiese, delli fontichi, delle communità et dei cittadini et per dirla in una parola il fior delle possessioni di Rovigno (et questo è quello che li poveri patroni dei beni sopportano malvolentieri et di qua bene spesso nasce che messi in desperatione causano dell’inconvenienti che danno da travagliare al Capitano di Raspo); et per esseguire quanto la Sublimità vostra mi aveva commesso a dì 10 di luglio passato circa il fare in quei luoghi una cisterna et un casone per li novi habitanti et per gli Vendramini, volendo io veder all’hora dove erano essi nuovi habitanti et ove disegnava di far la villa et la cisterna, messer Federico uno di essi fratelli che era meco gli dissi che me la mostrasse, ma non pur non mi fece veder villa che mai è stata fatta, ma né anco segno di ridotto, né di cortivo, né un sol palmo di terra da lor coltivata nel corso di otto anni che si havevano fatti investire, né meno alcuna sorta di gente condotta da essi fratelli, ma ben trovai nella villa di Rovigno tre o quattro meschini rivolti in un pezzo di schiavina, dello resto nudi che con lagrime di sangue mi dissero esser delli condotti dalli Vendramini et esser soli sopravvissuti dalle necessità et dai disaggi da quali erano morti gli altri compagni dopo haver consumata in sostener se stessi et il conduttor quella poca sostanza che seco portarono, dolendosi d’esser stati ingannati da essi Vendramini, che gli havevano promessi terreni coltivati et atti a subito dargli il ricover. Et havendogli io offerto mentre era là di consegnargli immediate delli terreni incolti er di quelli anco che per cinque anni avanti non fussero stati lavorati essi mi risposero che non erano venuti per sterpar luoghi incolti, ma con la promessa di star sopra le terre coltivate et [?]tigate mostrate già ai suoi capi et che quando ben volessero non havevano il modo di farlo senza animali, senza ordigni et senza provisioni di vivere, non havendo manco alcun aiuto da chi li haveva condotti. Questo tanto starebbe per informatione della Serenità vostra, tuttavia non posso non aggiungerle che don Gieronimo Vendramino l’altro fratello, vedendo non esser riuscito il disegno con i Rovignesi mi dimandò terreni in Polesana per condurvi dieci famiglie che diceva havervi in pronto, quali non volevano andar se non sin quello di Pola, dicendo che quattro capi erano già stati con lui a veder i luoghi; et io havendogli presto fatta una gagliarda ammonitione et persuasolo a non metter in lite i poveri populi, a non [?]ssiar sé stesso et quelli che conduceva et a non metter in mala fede la coltivatione, coll’apprender beni coltivati, ma che si elleggesse in qual parte gli piaceva bene in Polesana che pur troppo è incolta et inhabitata, gli concessi mille campi, cento per famiglia, avendo lui nella supplica esser tutti inculti et sopra questi haver condotta quella gente che con interesse publico et con pericol è stata dall’illustrissimo Capitano generale Gabriel fatta traghettare dal paese turchesco in Istria; ha poi scoperto la giustitia che hanno fatto li Vendramini il medesimo che fecero su quel di Rovigno, havendola messa nei luoghi coltivati de particolari et della communità di Pola, di che vedendosi messer Federico scoperto ha detto di non voler haver più cura di quelli poveretti et li ha del tutto abbandonati et havendo io ad alcuni di essi che sono venuti a lamentarsi dell’inganno fattogli fatta la medesima offerta di darli li terreni incolti mi hanno data quella risposta degli altri, cioè che gli è stato promesso terreni arativi et olivari et che si sono partiti dalle case loro con questa speranza et non ostante de la communità et l’interessati con strepiti et con ragione mi fecero istanza che feci che costoro gli lascino i loro beni liberi, io però tutto che sappia che ciò sarebbe di giustizia, uso questa violenza per l’interesse publico che li lascio per hora là, perché disperati non si partano dalla provincia et mettano in peggior fede la coltivatione. Queste, Serenissimo principe, sono veramente et solamente le cagioni che né molti delli venuti fin hora da paesi alieni ad habitare et coltivare la provintia ve ne siano fermati, né quelli c’havevano pensiero di venirvi si siano risoluti di farlo; et se ben sarà di qualche sollevamento a quelli che venissero da qui indietro la munificenza ch’ella vuol usare col pagar del suo le spese dell’investiture, cavalcate et perticationi, resteranno nondimeno col pensiero d’haver avocati che li difendano nelle dificoltà che potessero nascer sopra li beni concessi di spender in citationi in termini et in presentation di scritture, ma quello che più importa se non haveranno capi che con amore et con carità li governino et ne habbino la cura et il modo di sostenerli fin che possino trar qualche utile dalle terre che coltiveranno mai ne seguirà buon effetto et perciò raccordo riverentemente alla Serenità vostra due cose che stimo necessariissime: l’una che quelli che voglino pigliarsi l’assento di condur da paesi alieni nell’Istria gente la quale (come può considerare anch’ella) è della più meschina et che non può viver a casa sua siano persone commode et libere che habbino il modo di sostenerla almeno per un anno et di provederla de buoi et d’instrumenti rurali et commodità di star appresso la medesima gente per governarla et per haverne la cura et la tutella; l’altra che non levino le persone dai proprii luoghi se prima non sarà stato conosciuto dalla giustitia che li terreni concessili habbino da esser certamente et liberamente suoi, acciò né l’interessati habbino da dolersi et da contrastare con li novi habitanti perché vadino sopra i loro beni, né questi miserabili habbino da consumare infruttuosamente le vite et le sostanze loro fin che saperanno quali beni habbino ad esser suoi. Non mancherò, conforme al suo commandamento, di inviare gli ordini et le tariffe già fatte dall’illustrissimi Provveditori nell’Istria circa le mercedi de ministri, regolandole in quanto facesse bisogno et dandone poi riverente conto alla Serenità vostra, la quale supplico a perdonarmi se l’ho tediata con sì lunga lettera poiché non ho potuto far di meno, trattandosi di materia da lei anco stimata così importante per[?] non darle questa altretanto necessaria quanto real informatione acciò possa con l’infinita sua prudenza dar quella regola in tal negocio che giudicherà di maggior servitio. Gratie etc.
Di Pinguente alli 20 di giugno 1605
Marc’Antonio Erizzo Capitano di Raspo
AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 2
Trascrizione di Damiano Pellizzaro