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19 marzo| 1604 Marco Antonio Erizzo

Dispaccio del 8| settembre| 1605|

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
Dopo l’haver io co più lettere dato conto alla Serenità vostra della fuga delli novi habitanti del Capitan Vicenzo Chiuchich mi resta di dirle, come faccio riverentemente, che ho convenuto far ritener un fratello del medesimo Capitano Vicenzo et il suo alfiere, perché in compagnia d’altri simili a loro andanno a Visonà, già giurisditione dell’illustrissimo Provveditor Grimani, per robbare et condur via le mandrie intiere di quei poveri contadini, come haverebbono fatto se non si fussero opposti li patroni, doi de quali ferirono a morte; et perché sul territorio di Umago diedero delle ferite et ridussero in stato moribondo altri quattro di quei sudditi et anco perché sono inditiati d’esser stati capi d’alcuni assassini che con una barca il mese passato andati a lai d’un Grippo che di Dalmatia era venuto a caricar formezi nel porto di Cervera vicino a Cittanova lo svalisarono, levandoli buona quantità di danari et di pannina, ferendo mortalmente doi marinari. Di tal sorte, Principe serenissimo, sono le genti che le vengono condotte sotto pretesto di coltivar la provincia, né punto diferenti creda che siano quelli condotti dalli Vendramini, perché alcuni di quelli che ultimamente menarono in Polesana sono stati ad assassinare et copare l’eremita del Scoglio di Veruda, del qual caso a punto li giorni passati le scrissi per haver auttorità più della mia ordinaria et per tutto quel territorio sono di modo infestate le strade da quei ribaldi, che le genti non osano caminare et ogni giorno s’ode qualche richiamo di loro, che non havendo di che vivere et essendo usi in quei confini di donde sono stati levati a viver di rapina non vogliono lavorare, ma vanno qua et là a robare et depredare li sudditi della Sublimità vostra, anzi che si sono fin messi alla strada publica che va in Capo d’Istria dove fermavano li viandanti dimandandogli li danari; et forse con qualche altra pessima intentione che haverebbono esseguito s’io non havessi una notte mandata all’improviso la cavallaria su quei monti et in quei boschi ove si erano fermati per scacciarli di là et per reprimere sì scelerato ardire. Et se ben pare che si sia per hora achetato il bisbiglio et i lamenti che si sentivano per esser quelli doi retenti et questi altri fugati non è però levato il timore nei popoli che non ardiscono andar per i fatti loro, né i mercanti alle fiere, né cessa il sospetto ne suoi rappresentanti che questo verno non habbino costoro con l’aiuto anco di quelli fugiti di Umago et d’altri Uscochi che potessero menar seco far de gran danni nella povera Istria, pur troppo afflitta et rovinata. Il perché ho stimato debito mio di rappresentar il tutto alla Serenità vostra così per dirle che se questi che si offeriscono di condur nova gente per coltivar et habitar la provincia non menaranno contadini usi a lavorar terreni, ma della sorte che hanno fatto fin hora ch’è avezza alle rapine et a viver a modo suo, non solamente non ha da sperare alcun buon servitio per la coltivatione, ma da dubitare che habbino da far peggio delli già condotti, come perché fatta consapevole di questi accidenti possa con l’infinita sua prudenza pensare a qualche provisione per non lasciar pigliar prede a simil gente che potrebbe danneggiare assai questi poveri sudditi della Sublimità vostra. Gratie.
Di Pinguente li 8 di settembre 1605

Marc’Antonio Erizzo Capitano di Raspo


AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 2
Trascrizione di Damiano Pellizzaro